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BEURA- 05-03-2017- “Educare significa fondamentalmente

evocare e accompagnare. Educatore è, in prima istanza, chiunque sappia farci sollevare lo sguardo fino a cogliere e a respirare quell'ampiezza”. Lo ha spiegato ieri il professor Paolo Pagani, ordinario di Filosofia Morale all’Università Ca’ Foscari di Venezia intervenuto a Cuzzego ad un incontro organizzato dalla parrocchia. Paolo Pagani che tra l'altro è tra i 600 firmatari dell'appello al governo per rilanciare lo studio dell'italiano ha evidenziato che educare oggi è difficile. “La condizione del  lavoro dell'educazione, che rimane sempre il medesimo, è ostacolato dalla pervasività dei mezzi di comunicazione – ha detto -  che non comunicano solo tecnologia o modalità di contatto, ma anche un' immagine dell'uomo come frammentato sedotto da immagini sempre diverse e quindi incapace di entrare in contatto con sé e con gli altri, quindi quando il ragazzino è frammentato fin da piccolo, diventa difficile il lavoro educativo”.  Secondo il professore occorre partire dalla proposta di qualcosa di completamente diverso che le nuove tecnologie non riescono a contenere e cioè i rapporti umani strutturati di gruppo in cui i ragazzi, anche quelli piccoli e soprattutto loro, sappiano o rimparino a giocare insieme a cantare insieme a convivere sulla base  di una proposta strutturata  vincente rispetto alla seduttività di certi mezzi di comunicazione. Pagani è tra i  600 professori universitari firmatari del recente appello  al governo e al Parlamento per mettere in campo un piano di emergenza che rilanci lo studio della lingua italiana nelle scuole elementari e medie. “Serve ripartire  da alcune cose fondamentali: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano. Siamo di fronte a un problema a un dramma generazionale – ha detto - in cui non vale più lo scarica barile.  In genere gli insegnanti delle medie dicono è colpa di quelli delle elementari, quelli del liceo dicono se non l'hanno fatto alle medie perchè dovremmo insegnarlo noi.  In università tanti dicono non spetta a noi insegnare a leggere o scrivere così si finisce con laureare degli emeriti asini con le conseguenze già evidenti. Occorre interrompere questa catena ciascuno al proprio livello.  Una catena che parte  dalle famiglie che per incapacità per pigrizia portano a a volte a scuola dei bambini che non sono capaci di stare con gli altri che hanno gravi problemi affettivi, fattori che rendono la capacità di apprendimento avventurosa e difficile è chiaro che le maestre  pur essendo preparate hanno difficoltà perchè si trovano ad avere a che fare con situazioni che richiedono più il lavoro di un assistente sociale che di una docente”.


Mary Borri

 

 

 

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