VERBANIA – 22.06.2017 – La figlia subiva palpeggiamenti
e molestie di natura sessuale e la mamma stava a guardare, favorendo gli abusi. È una storia sordida, di disagio profondo e che ha pesanti risvolti penali, quella che ha visto coinvolta, suo malgrado, una adolescente della provincia. La ragazza, che all’epoca dei fatti aveva meno di 14 anni e che presenta problemi di disabilità mentale, nel 2013 venne notata dai dipendenti di un supermercato mentre un uomo adulto le toccava le parti intime da un uomo. La segnalazione, diventata una denuncia e poi un’indagine, fece emergere un quadro per certi versi inquietanti, cioè la complicità della madre, che ha 42 anni, nel lasciare che la ragazzina subisse le molestie. Molestie di cui furono accusati, oltre alla donna, due persone individuate durante le indagini: un anziano di 82 anni e un uomo di 43. Il primo, insieme alla madre, sono stati condannati con rito abbreviato dal gup Elena Ceriotti per il reato di violenza sessuale a 6 anni lei, e a 4 anni e 7 mesi lui.
Il terzo imputato, invece, che ha sempre negato ogni coinvolgimento, ha scelto il dibattimento in aula. Nel processo celebrato oggi a porte chiuse di fronte al collegio presieduto da Luigi Montefusco, con giudici Rosa Maria Fornelli e Raffaella Zappatini, è stato assolto da ogni accusa, evitando la condanna a 5 anni chiesta dal pubblico ministero Gianluca Periani. Al procedimento non è stata ammessa come parte civile la vittima. L’avvocato della difesa, Gabriele Pipicelli, ha sollevato un’eccezione – accolta dai giudici – sulla costituzione in giudizio poiché l’avvocato dell’adolescente, essendone anche il tutore legale, non poteva rappresentarla in aula.
Per il 43enne scagionato dall’accusa, la sentenza di oggi è la fine di un incubo: “sono un padre di famiglia ed essere accusato di un fatto così odioso mi ha turbato profondamente, anche se la mia famiglia mi è stata vicino ed ha sempre creduto in me”. Nell’affrontare il giudizio rinunciando a riti alternativi, l’uomo ha anche rinunciato a eventuali sconti di pena: “Volevo dimostrare la mia innocenza e la sentenza me ne ha dato atto". “Il mio assistito ha sempre proclamato la propria innocenza – commenta Pipicelli –, le pene non lievi per questo tipo di reati a volte portano a privilegiare la scelta di riti alternativi per gli sconti di pena. La scelta di andare al dibattimento non è mai facile, ma mi sono convinto che solo passando per quella via si sarebbe potuta chiarire la posizione del mio assistito".