MONTEBELLUNA – 24.06.2017 – Fine corsa.
Al balletto politico-finanziario che da mesi si gioca tra governo, Bce e Unione europea per cercare di salvare le derelitte Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza, la parola fine l’ha scritta ieri sera l’Europa. Una nota congiunta degli organismi di vigilanza europei ha dichiarato i due istituti “falliti o in fallimento”, una formula che ne certifica l’insolvenza e che apre la strada al crac. Un crac che il governo italiano – oggi ne discute il Consiglio dei ministri – è intenzionato a evitare nella formula del paventato bail in. Per evitare scossoni, soprattutto tra soci-azionisti e correntisti-risparmiatori, si sta lavorando a una liquidazione ordinata, a un decreto legge ad hoc che, commissariando le banche, ne gestisca la fase di transizione verso un futuro e diverso assetto.
La mossa di ieri sera delle autorità europee ha posto fine all’incertezza e fissato uno spartiacque nella crisi delle due banche, che è esplosa tre anni fa ma che viene da lontano e che è oggetto di indagini e di procedimenti tesi a stabilire le responsabilità del dissesto. Veneto Banca e Vicenza hanno a lungo nascosto le loro reali situazioni finanziarie, sopravvalutando il proprio titolo (poi iper-svalutato, beffando centinaia di migliaia di azionisti che hanno perso il 98% del denaro investito) e finendo gambe all’aria al verificarsi di due fattori esterni: l’introduzione della vigilanza bancaria europea per i grandi gruppi e la trasformazione obbligatoria per legge delle popolari di grosse dimensioni in spa. Da lì in avanti le due banche, in una girandola di cambi di governance (soprattutto Montebelluna) hanno iniziato a svalutare crediti e a rettificare i bilanci, bruciando miliardi di capitali e di ricapitalizzazioni. E è qui che Bce e Ue sono intervenute ieri, prendendo atto che non esiste più un adeguato rapporto di copertura tra patrimonio e deficit per mantenerle in vita. Dall’Europa, però, è anche arrivata l’autorizzazione a gestire la fase di “fallimento”, non con regole comunitarie, ma italiane, permettendo di fatto l’intervento del governo. Un intervento che non si sa ancora quanto peserà sui conti pubblici, anche se la stima è tra 8 e 10 miliardi.