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consoli vincenzo

ROMA – 27.06.2017 – Al crepuscolo di Veneto Banca

gli ex vertici potrebbero infine andare a processo. È questa la richiesta che la Procura di Roma ha avanzato al giudice dell’udienza preliminare nei confronti di undici persone dell’istituto di Montebelluna (da domenica in liquidazione) indagati per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni della autorità pubbliche di vigilanza. Il procedimento è di competenza del tribunale capitolino perché Roma è la sede di Bankitalia. E proprio le presunte false comunicazioni a Palazzo Koch sono l’oggetto del capo d’imputazione. Secondo le indagini coordinate dai sostituti procuratori Sabina Calabretta e Stefano Pesci, nel 2012 Veneto Banca omise di detrarre dal patrimonio di vigilanza il valore, non inferiore a 349 milioni di euro, delle obbligazioni proprie che aveva acquistato una società terza con il denaro prestato dalla banca stessa. Si tratterebbe, in sostanza, di un escamotage per non abbattere il capitale a garanzia dei crediti deteriorati. Secondo la tesi dell’accusa si sarebbe agito per immettere denaro fresco nel capitale della banca sotto forma di azioni acquistate, anziché con risorse esterne, con il denaro della banca stessa che lo faceva uscire in parte corrente sotto forma di prestito.

Di ciò sono accusati in 11, tra cui il presidente di allora Flavio Trinca, il potente ex direttore generale Vincenzo Consoli, e alcuni funzionari compreso Mosé Fagiani, l’ultimo direttore generale della Banca popolare di Intra, nominato dalla proprietà veneta per traghettare la ex Intra verso la fusione per incorporazione in Montebelluna.