TORINO – 08.07.2015 – Domani è il giorno di Sergio Chiamparino,
del Pd e del centrosinistra piemontese. Il giorno con la “g” maiuscola, quello in cui il Tar del Piemonte esaminerà i ricorsi elettorali della leghista Patrizia Borgarello. A caricare di significato questa data è stato proprio l’attuale governatore del Piemonte, che ha sempre molto schiettamente detto che non si sarebbe fatto “rosolare” dalle battaglie legali come accaduto al suo predecessore Roberto Cota (decaduto per via giudiziaria e il celebre “caso” Giovine) e che, in caso di pronunciamento negativo, si sarebbe dimesso.
La questione, al netto delle norme di legge e delle questioni legali, è semplice. C’è il sospetto – e in questo senso è in fase avanzata un’inchiesta penale – che le firme raccolte per presentare le liste del Pd a Torino, della civica Chiamparino per il Piemonte e del “listino” del presidente (quello che assegna il premio di maggioranza) non siano state raccolte regolarmente o, in alcuni casi, siano addirittura false.
Se così fosse il voto potrebbe essere annullato e si andrebbe di nuovo alle urne. Chiariamo subito che questa ipotesi, anche se si verificasse, non sarebbe domani, ma potrebbe arrivare entro un anno o poco più. Quel periodo, appunto, in cui Chiamparino governerebbe, come Cota, sotto una spada di Damocle. Quel periodo che non vuole assolutamente vivere e, per questo, nel caso la causa si incamminasse in quella direzione, si dimetterebbe.
Esiste anche la possibilità, quella per cui tifa il centrosinistra, che il ricorso venga respinto per la cosiddetta “prova di resistenza”, cioè che le liste cancellate a Chiamparino non modifichino il verdetto elettorale e confermino il governatore.
C’è anche la possibilità che i giudici amministrativi prendano tempo e aspettino l’esito dell’inchiesta penale. Che, va detto, negli ultimi giorni ha preso vigore con il deposito, in Procura, di una perizia calligrafica – atto ancora secretato – che potrebbe essere seguita da nuovi avvisi di garanzia. Finora gli indagati sono sette: due consiglieri regionali, tre ex consiglieri provinciali, un presidente di Circoscrizione e il suo vice, tutti personaggi politici di secondo piano. Potrebbero essercene altri.
L’inchiesta ha anche risvolti politici perché se emergesse un “disegno” per raccogliere col “trucchetto” le firme in tempo per presentare la lista – tra l’altro quando non era obbligatorio perché i gruppi uscenti in Regione non hanno quest’obbligo – andrebbe a discapito della credibilità del Pd che ha avuto la strada elettorale spianata proprio per via delle firme che hanno mandato a casa Cota.