DOMODOSSOLA-14-07-2015- L’École des Italiens, Museo Immaginario, Chiuso per un anno presenterà
martedì dalle ore 11 alle 13 nell'esposizione di via Mellerio 2, “Cronache della Wunderkammer Le vite immaginarie di Dario Gnemmi 3 luglio 2005 – 23 luglio 2015” nel decennale della morte del critico d'arte domese: “Diceva Boris Pasternak che riusciamo a riconoscere il valore di alcune cose solo perdendole- spiegano dall'Ecole- verità antica, che vale anche, soprattutto, riguardo a Dario Gnemmi (1957 – 2005). Studioso eclettico, polimorfico, dalla forte nervatura filosofica, passò con felicità da Clemente Rebora a Nicolas De Stael. Eppure, la sua qualità è quella rara del restauratore, di chi rifila l'arazzo del tempo. E' anche grazie al maiuscolo, puntuale sforzo di Gnemmi che conosciamo con tale profondità gli eroici pittori della valle Vigezzo. Stilo da sapiente, sì, ma anche mano da romanziere (i suoi amati artisti vengono a noi con le fattezze vigorose che hanno gli eroi di Balzac, con quelle lunatiche ed estreme disegnate da Gogol'), da chi sa che scrivendo non solo si evoca un mondo, ma lo si ricostruisce, lo si crea”. “Un artista non può conoscere il segreto, fragile come un nido di vetro, della sua opera, altrimenti essa si disintegrerebbe- spiega Davide Brullo nel testo del catalogo della mostra Cronache della Wunderkammer. Le vite immaginarie di Dario Gnemmi- perciò l’artista, poeta o pittore o estremista, non ha nulla da rilevare: attende, piuttosto, di essere rivelato. Dario è il nome di una dinastia di re. Secondo la lingua persiana significa “l’uomo che possiede il bene”. Dario Gnemmi, con la grazia di chi assolve un segreto, non ha semplicemente compilato un regesto di artisti, incolonnando destini burocratici. Ha spodestato l’oblio dalla vita, ha custodito l’intimo degli artisti, il loro bene inafferrabile, inaffidabile. Ad esempio. Con l’efficacia di un visionario, di chi legge i quadri con scienza astronomica e preveggenza da cartomante, Dario ha squadernato la gioia della scuola vigezzina, finché gli allievi del Cavalli, scapestrati e feroci, non sono tridimensionalmente diventati davanti ai nostri occhi una sorta di “stil novo” dell’arte italiana. Da vero maestro Dario aveva in adorazione i suoi maestri, Federico Zeri sopra tutti, a cui lo legò l’impresa esegetica, segata dai cretini imperanti, dell’attribuzione degli affreschi alla Basilica Superiore di San Francesco e dell’epopea dei giotteschi in Assisi. Disseppellitore di vite segregate sotto la selva pittorica, che tremenda sapienza la scoperta del Cimabue inedito e incompreso , Gnemmi ha disseminato il suo talento in un volo di studi ormai necessari. Soprattutto, aveva l’ansia e l’abbraccio dello scrittore, decrittava stirpi di artisti con la profondità di un Marcel Schwob, di un ritrattista bizantino. Mi immagino Dario regale nel suo giardino, immaginario anch’esso, ormai, degno di un Rousseau, di un Marco Polo con la benda sul viso (giacché il veneziano comprese che non contano i fatti ma i racconti). Forse sapeva l’arte del mutarsi in pantera, la statura della compassione. Dario ha ridato la vita perché ha rivissuto tutti i dolori degli artisti in cui è sprofondato. Sapeva, Dario, che ha posseduto il bene, che tutto, senza concessioni né conversioni, dura quanto una nuvola. L’arte, gli studi, le scritture. Per questo, nel massacro, è necessario guardare, testimoniare, amare, fregiarsi del compito di far filologia sulle nuvole, e accamparsi lì. Non si commemora, ci si inginocchia”.