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VERBANIA – 25.08.2015 – Protesta di piazza, proposta e ricorso.

Sono queste le strade che il Vco immagina come prossime tappe del percorso per opporsi alla chiusura, totale o parziale, degli uffici postali montani. Ne hanno discusso questa sera al Tecnoparco Provincia, sindaci e sindacati.

La questione è nota e si trascina dalla primavera, quando l’azienda proposte un piano nazionale – a cascata su Regioni e province – per tagliare gli uffici improduttivi e varare quella riforma che anticipa lo sbarco in Borsa e la parziale privatizzazione delle Poste.

Nel Vco, già penalizzato da uno stillicidio di tagli ai servizi che va avanti da anni, oltre a sparire lo sportello di Carciano, veniva ridotto l’orario a una mezza dozzina di uffici montani. Le proteste e l’intervento di mediazione della Regione avevano congelato il piano che, dopo una parziale revisione, è pronto a scattare il 7 settembre. Una data, questa, che mette tutti d’accordo sull’urgenza di agire. Sulla formula non c’è piena condivisione. O, meglio, ci sono diversità di vedute. C’è chi, i sindaci in primis, preme per un ricorso al Tar sull’esempio di quanto accaduto in Friuli, i cui magistrati amministrativi si sono espressi contro le Poste. C’è chi, come la Cisl, invita a usare la giustizia come estrema risorsa e preme per tentare una mediazione politica. Poi, novità rispetto agli ultimi incontri del tavolo provinciale coordinato dal consigliere Silvia Tipaldi (sindaco di Calasca Castiglione), c’è una controproposta, divisa per punti, che chiede: a) mantenimento di Carciano con orario ridotto, b) mantenimento dei sei giorni d’apertura a Antrona Schieranco, Beé, Cossogno, Miazzina, Premeno e Macugnaga anche rivedendo l’orario, c) ripristino del turno pomeridiano in piazza Matteotti a Domodossola, d) mantenimento dei quattro giorni (tre in alternativa) d’apertura settimanale all’ufficio di Omegna, e) ripristino dei Centri di smistamento di Verbania, Domo e Omegna trasferiti a Novara, f) mantenimento dell’orario invernale anche d’estate o sua revisione, g) implementazione dei servizi postali a Verbania, Domo e Omegna, h) mantenimento della consegna quotidiana della corrispondenza.

L’elenco delle richieste, che diminuisce di poco lo status quo, difficilmente potrà essere accettato. Ma forse c’è spazio di manovra. “Premesso che la Regione è intervenuta per mediare decisioni già prese senza un ruolo ufficiale ma ottenendo qualcosa – ha spiegato il vicepresidente Reschigna, presente all’incontro –, credo che se ne possa parlare, ma i tempi sono stretti. Forse queste proposte potevano arrivare prima”.

Sul ricorso al Tar, che il sindaco di Cossogno Doriano Camossi ha chiesto venga sostenuto dall’Uncem, Reschigna ha escluso un ruolo diretto dell’ente “che non ne ha titolo”. Alla via giudiziaria verrà anteposta una protesta a Torino, sotto la sede delle Poste.

Tutti i presenti hanno sottolineato la necessità di non depauperare la montagna e la periferia di servizi, di tutelare la specificità montana del Vco, di insistere nella protesta. Realisticamente si ha l’impressione di lottare contro un treno in corsa che non ha alcuna intenzione di rallentare.

Il servizio postale come l’abbiamo conosciuto fino agli anni ’90 e l’era delle prime privatizzazioni non esiste più. Poste Italiane è un’azienda, una banca, gestita e amministrata con criteri manageriali e prossima a andare in Borsa con l’auspicio e la benedizione del governo. Reclamarne il mantenimento delle poste di montagna in difesa dei cittadini e contro lo spopolamento delle valli è un dovere dei sindaci, che ne sono convinti ma che allo stesso tempo si trovano di fronte un rivale difficile da affrontare.

Intanto il tempo passa e il 7 settembre s’avvicina. La rivoluzione è alle porte.