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VERBANIA – 05.03.2019 – Non ci fu nessuna riunione tesa,

né ai dipendenti, sotto la minaccia del licenziamento, fu chiesto dagli ex amministratori di indicare agli investigatori della Guardia di finanza il nome della “testa di legno”. È questa, resa sotto giuramento oggi di fronte al collegio del tribunale di Verbania che sta processando due degli imputati del crac dell’impresa Ossolana, la versione fornita da una dipendente che lavorava nella sede del gruppo, a Fondotoce. Assunta dalla Piping Service, società facente capo a Giuseppe Nasini –imputato di bancarotta fraudolenta e di altri reati societari e fiscali insieme a Luigi Morelli (altri cinque indagati hanno scelto il rito abbreviato)– ha riferito sulla circostanza, già emersa in una precedente udienza, di una riunione soci-dipendenti avvenuta pochi giorni dopo l’accertamento fiscale che portò al fallimento e all’apertura di un procedimento penale. Nel raccontare l’episodio, ha negato ciò che hanno affermato gli altri impiegati, cioè d’aver ricevuto pressioni. A citarla è stato Fabrizio Busignani, il legale di Nasini, che oggi ha chiamato una parte dei testi indicati dalla difesa. Tra questi c’era Paolo Peruzzo, il commercialista domese che teneva la contabilità di Ossolana e che è stato riconosciuto da due coimputati come colui che, materialmente, aveva concordato con Nasini la falsificazione dei bilanci societari. Peruzzo, che è indagato in un procedimento connesso, s’è avvalso della facoltà di non rispondere.

In favore di Nasini ha testimoniato un impiegato della Falegnameria Malandra di Vogogna, società fallita nel 2014 e facente parte delle attività riconducibili alla famiglia Morelli e allo stesso Nasini, poi uscito dalla compagine societaria. Quest’ultimo ne fu amministratore per un breve lasso di tempo, sostituito da Pier Paolo Morelli. Fu lui – ha testimoniato il dipendente – che inserì in contabilità false fatture per avere dalla banca l’anticipo con cui pagare i fornitori. Un commerciale di Telecom ha invece ricostruito il passaggio delle schede sim, e dei telefonini pagati a rate, da Ossolana a Piping Service nel settembre 2015. La difesa sostiene che non ci fu l’impossessamento di un i-phone, così come contestato dal curatore fallimentare Francesco Roman, perché le rate già versate furono stornate. Gli altri testimoni hanno confermato che la gestione della cassa spiccia dei cantieri e del grande cantiere del petrolchimico di Ravenna non facevano capo a Nasini.

La linea difensiva di Busignani punta a dimostrare che il suo assistito non era l’amministratore di fatto dell’Ossolana, ma un dirigente. In questo senso ha domandato al maresciallo della Finanza che si occupò delle analisi dei pc sequestrati in azienda se vi siano accertamenti tecnici che riconducano il materiale informatico trovato al suo assistito, risposta negativa.

Il processo è stato aggiornato al 4 giugno per sentire gli ultimi testi della difesa, per l’esame imputato e per la conclusione dell’istruttoria dibattimentale.