VERBANIA – 26.03.2019 – Con quel passaporto italiano,
chissà, forse pensava di farsi strada nel calcio e di trovare un ingaggio in Europa come comunitario. Ma il destino gli è stato avverso. Tra i clienti del gruppo di brasiliani che offriva “cittadinanze facili” nel Vco e nell’alto Novarese c’era anche un calciatore della Chapecoense, la squadra di calcio brasiliana passata alla storia per la tragedia accaduta il 28 novembre 2016. Il giovane, che risultava ancora residente a Domodossola durante l’indagine della questura di Verbania, era in realtà deceduto sui monti a sud di Medellin, nello schianto del volo LaMia 2933 che stava portando la squadra a giocare la finale della Coppa Sudamericana contro l’Atletico Nacional di Medellin. Tra le 77 vittime –71 i passeggeri, in gran parte calciatori e dirigenti della Chapecoense– c’era anche lui, che il futuro se lo immaginava come una rincorsa alla palla su un prato verde, magari anche col “trucchetto” del passaporto, una circostanza non nuova nel mondo dello sport professionistico.