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cacciavite scasso
VERBANIA – 28.09.2015 – S’è appellata all’infermità mentale,

a condizioni psichiche che le impediscono di intendere e volere e di essere giudicata. Sanela Milenkovic, ventenne rom di nazionalità croata arrestata l’11 settembre in flagranza di reato mentre stava forzando, in compagnia di un’altra donna, poi fuggita il portone del condominio Raffaello a Intra, è comparsa oggi in tribunale a Verbania per il processo che la vede imputata. Assistita dall’avvocato d’ufficio Alessandra Marchioni e accompagnata da un’interprete – la donna dice di non parlare l’italiano e di comprendere solo il tedesco – ha ascoltato ciò che il suo legale ha chiesto al giudice Rosa Maria Fornelli (la stessa che ne aveva confermato l’arresto e le aveva accordato i domiciliari), cioè il processo con rito abbreviato ma solo se verrà dichiarata capace di intendere e di volere. A stabilirlo sarà il perito individuato dal giudice e che riceverà formalmente l’incarico nell’udienza del 9 ottobre. Dopodiché verrà fissato un determinato periodo per i colloqui entro il quale il perito consegnerà la relazione che stabilirà se il processo s’ha da fare o meno.

Milenkovic vive nella comunità rom di Saluggia, in provincia di Vercelli, con il compagno, il loro figlio nato in luglio e un altro figlio che l’uomo ha avuto da una precedente relazione. Per dimostrare i suoi problemi psichiatrici ha presentato alcuni certificati medici.

L’arresto avvenne nella prima serata di venerdì 11 settembre. Un condomino del palazzo che si trova sul lung’argine del San Bernardino, sponda intrese, vide le due donne armeggiare sulla serratura dell’ingresso. Le inseguì e ne riuscì a fermare una che – così ha riferito ai carabinieri del Radiomobile intervenuti sul posto – gli disse in italiano “tanto qui in Italia non mi fanno niente. Arrestata e identificata risultò essere Milenkovic, che è nel nostro Paese da un anno e, contando l’episodio di Verbania, è già stata arrestata due volte (l’altra a Milano) e altrettante denunciata (a Biella e nel Torinese). Con sé aveva un  paio di guanti in pile, verosimilmente per non lasciare impronte, e un cacciavite lungo una ventina di centimetri utilizzato come arnese da scasso.     

Neomamma scassinatrice, prima del processo la perizia psichiatrica