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tribunale 15

VERBANIA – 07.08.2019 – La notizia lascia sgomenti, attoniti.

Fa scalpore, suscita dibattito e porta il Lago Maggiore alla ribalta delle cronache nazionali. Anche solo l’ipotesi –se sarà una verità processuale l’accerterà la magistratura– che una mamma abbia concesso la figlia di undici anni a un pedofilo già condannato e che questi vi abbia compiuto atti sessuali producendo filmati scabrosi, è un pugno nello stomaco. Che s’accompagna a una domanda: ma come, a Verbania? Premesso che non esiste una patria per certe perversioni e che nessun luogo può dirsi immune da questi –e altri– reati (e, di converso, nessun altro può vederseli ricondotti), la vicenda è avvenuta quasi per caso in città. I protagonisti, dei quali non forniamo i nomi e limitiamo le informazioni perché, direttamente o indirettamente, potrebbero portare a identificare la vittima, vengono da Torino.

Ma a Verbania non erano giunti per caso. Al centro di tutto c’è lui, il presunto orco che ha 43 anni e che per reati legati alla pedopornografia ha già subito una condanna, scontata proprio a Pallanza. Da anni nella piccola casa circondariale di via Castelli, insieme ai detenuti comuni per pene di lieve entità, ci sono –accolti in un reparto speciale e isolato– anche i cosiddetti sex offenders. Il torinese è stato uno di loro e, quando è arrivato a fine pena, ha trovato accoglienza a Verbania. L’appartamento in cui viveva e nel quale ha invitato la mamma (e la bambina) l’ha reperito grazie a un parroco. Serviva per iniziare un percorso di reinserimento sociale, sostenuto anche dall’ottenimento del reddito di cittadinanza di recente introdotto dal governo. Eppure, così come fanno supporre le indagini di Procura e carabinieri, non vi è stato alcun ravvedimento. Anche lontano da casa il presunto pedofilo avrebbe continuato ad agire, tradendo non solo la fiducia dell’adolescente, ma anche quella di chi l’ha aiutato.