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torino tribunale

TORINO – 14.04.2015 – Spese modeste  in una gestione oculata, documentate o ricondotte a fini istituzionali anche se opinabili. Sono queste le motivazioni con le quali il 15 gennaio il gip di Torino Daniela Rispoli ha assolto nove ex consiglieri regionali dall’accusa di peculato. L’epilogo della seconda tranche giudiziaria del processo sui cosiddetti “rimborsi facili” è arrivato oggi con la pubblicazione, che aggiunge altra carne al fuoco ai processi che si stanno celebrando per altri 23 ma anche ai processi di appello.

A giudizio c’erano quei nove consiglieri della legislatura 2010-2014 per i quali, a fine 2014, il gup Roberto Ruscello aveva respinto la richiesta di archiviazione da parte del pm disponendo il rinvio a giudizio coatto. Sei – Monica Cerutti, Aldo Reschigna, Elonora Artesio, Stefano Lepri, Angela Motta e Davide Gariglio – appartenevano all’allora minoranza (oggi al governo) di centrosinistra. Tre – Fabrizio Comba, Giampiero Leo e Gianluca Vignale – alla maggioranza di centrodestra.

Le contestazioni nei loro confronti erano per spese varie come prosecco, spumante, dolci, penne stilografiche, borse da viaggio, navigatori satellitari, cibo take away, pranzi, cene, pernottamenti alberghieri, vestiti, tessuti, biglietti aerei, schede telefoniche, valigie, giocattoli, sacco a pelo, fiori, buoni benzina, panettoni, farmaci, lettori mp3.

Le quindici pagine di motivazioni si addentrano in questioni dibattute e stradiscusse: qual è la natura dei gruppi regionali (enti pubblici o privati)? Quale è il confine tra una spesa istituzionale e no?

Che il terreno sia minato il giudice Rispoli lo scrive nelle premesse definendo il processo “un successo” poiché ha costretto “tutti i protagonisti di esso, dagli imputati, alle difese, al pubblico ministero, allo stesso Gip che ha respinto la richiesta di archiviazione, a rivisitare le proprie posizioni, in un quadro di vero ascolto, di sforzo di farsi comprendere, di confronto continuo”. E anche più avanti, quando parla di “terreno accidentato” e di “terreno accidentato che diventa pericoloso”, ma anche di “quadro normativo confuso (sulla classificazione delle spese istituzionali, ndr)”. Il peculato – sostiene il giudice – si manifesta quando i fini delle spese sono “palesemente personali” e quando “non sia data una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalità strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze".

Poiché gli imputati “pur con graduazioni che in questa sede non appare consentito approfondire, hanno dato conto delle spese effettuate, riuscendo in larga misura a documentarle, comunque ad inquadrarle nell’ambito di attività coerenti con l’attività di consigliere regionale” vanno assolti. Non che manchi una sorta di “bacchettata” perché, di fronte ad acquisti che non si riconducono direttamente all’attività del consigliere, scrive che è “opinabile ma non sindacabile la scelta di spese che aumentano il prestigio e sostengono l’immagine del singolo candidato”. Come a dire: può essere poco etico usare i soldi del gruppo per la propria immagine – come un pavone che mostra la coda –, ma si può fare.

Poiché la linea del gup Rispoli è stata meno intransigente di quella del collega Ruscello, le motivazioni pubblicate oggi accrescono le speranze dei 23 ex consiglieri (3 di centrosinistra e 20 di centrodestra tra cui l’ex presidente Roberto Cota, il verbanese Roberto De Magistris e il novarese Massimo Giordano) che hanno scelto il dibattimento e che devono ancora essere gudicati. Lo stesso vale per i quattro, compreso l'ex presidente del Consiglio regionale, il verbanese Valerio Cattaneo, condannati in primo grado con rito abbreviato e che hanno già presentato appello.

Non hanno invece chance i 14, tra i quali il domese Michele Marinello, che a luglio 2014 hanno patteggiato. La loro sentenza è definitiva.