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Paulin Primatesta

VCO - 31-10-2019 - E’ passato mezzo secolo

da un evento a suo modo epocale, ma avvenuto in silenzio e la cui ricorrenza è di fatto passata inosservata.

Era un giorno di ottobre del 1969 e dall’Alpe Serena, in Val Grande poco sotto la Colma di Premosello, partiva con il suo gregge di capre ed il cane – Béla si chiamava – l’alpigiano Paulìn Primatesta di Colloro, per salire fino alla bocchetta e di qui scendere verso l’Ossola.

Paulìn “scarico” l’alpe come aveva fatto sempre in passato, ma adesso c’era qualcosa di diverso, perché questa volta era l’ultima e l’estate successiva non sarebbe più tornato.

Il fatto non fece notizia – nel mondo si parlava ancora del primo uomo sulla Luna e in Italia teneva banco il cosiddetto “autunno caldo” – ma con il definitivo abbandono di quell’alpeggio dentro la Val Grande finiva un mondo, finiva una civiltà montanara che duravano da secoli.

Lo spopolamento degli alpeggi era cominciato decenni prima, spinto dal sorgere delle fabbriche nel fondovalle e dall’emigrazione, poi un colpo notevole lo diede il rastrellamento del giugno 1944, con la distruzione di baite e cascine e l’uccisione di civili e partigiani.

Andare a “caricare l’alpe” non rendeva più, i sacrifici e le fatiche profuse non avevano contropartita, la vegetazione avanzava, la vita si faceva sempre più solitaria.

Così uno dopo l’altro gli alpeggi venivano abbandonati, come capisaldi  di un mondo e di una cultura montanara che via via si arrendevano, alzando bandiera bianca.

Un paio d’anni dopo, nel 1971, a Paolo Primatesta fu Emanuele, ultimo alpigiano della Bassa Ossola a lasciare la Val Grande, venne conferita la Medaglia d’oro per la fedeltà alla montagna.

La fedeltà ad un mondo che era finito in quel giorno di autunno del 1969.

 

La foto è tratta da "Valgrande ultimo paradiso" di Teresio Valsesia. Senza firma