VERBANIA – 27.10.2015 – “Volete voi abrogare
la Delibera di Consiglio Comunale N. 122 del 23.09.2015 di ‘Esternalizzazione del servizio di gestione del forno crematorio di Verbania?’”. È questo, semplice e diretto, il quesito referendario sul quale i verbanesi potrebbero essere chiamati a esprimersi alle urne nel 2016. Lo propone un gruppo di undici cittadini che s’è presentato questa mattina sotto Palazzo di Città. Ne fanno parte: Andrea Marconi, Eraldo Baldioli, Gianmariano Bernardini, Donato Clinco, Filippo Di Gregorio, Concetto Drago, Silvio Gamba, Giovanni Marzo, Pietro Mazzola, Danilo Teruggi e Carlo Zanoia. Provengono quasi tutti da quel mondo della sinistra verbanese vicino a Carlo Bava e Renato Brignone ma anche a quello che ha sostenuto alle elezioni Silvia Marchionini per poi uscire dalla maggioranza. Nel comitato ci sono anche esponenti vicini al Movimento 5 stelle. Le loro motivazioni più che di carattere politico sono di carattere pratico e vertono sostanzialmente su un concetto: l’esternalizzazione del forno crematorio è un danno, economico in primo luogo, per il pubblico e un guadagno per il privato che lo realizzerà.
Una posizione molto netta che caratterizzerà probabilmente anche la campagna elettorale il cui refrain sarà la difesa degli interessi della collettività contro quelli di un solo privato, un po’ come accadde agli ultimi quesiti referendari nazionali quelli sull’acqua pubblica. Appare singolare che sul “banco degli imputati” ci sia il Partito democratico, storicamente forza di sinistra. Il referendum è infatti diretto ai democratici e al sindaco Silvia Marchionini, che con il deposito del quesito referendario si sono visti innescare due mine. La prima, pratica, è che in attesa del referendum non si possono assumere decisioni in materia (né sarebbe opportuno perché sarebbe come voler forzare la mano di fronte alla richiesta di parere popolare). Questo significa mesi di stand by per il progetto forno.
La seconda, più politica, riguarda la posizione da assumere. Stando al regolamento, il referendum abrogativo è valido se raggiunge il quorum del 50% delle ultime elezioni. Contando che alle Comunali del 2014 votarono 16.000 verbanesi circa, ne servirebbero 8.000 per renderlo valido. Se il Pd si schierasse per il “no”, coerentemente con le decisioni prese in Consiglio comunale, correrebbe il rischio ci concorrere al quorum e di perdere a meno di non aver un grosso impatto di mobilitazione. Se invece si schierasse per l’astensionismo, avrebbe elevate chance di uscire indenne dalle urne ma avrebbe mostrato la debolezza politica di un grande partito che per calcolo si chiama fuori dalla mischia. È anche vero che se mancasse il quorum la minoranza consiliare di quell’area politica uscirebbe ridimensionata a vantaggio di sindaco e maggioranza.
Queste considerazioni sono comunque ancora premature perché oggi il regolamento impone che parta l’iter referendario. Nella prossima seduta il Consiglio comunale nominerà il Comitato dei garanti che dovrà validare il quesito. Poi i proponenti avranno 60 giorni per raccogliere 1.000 firme. Dopo altri 30 giorni (al massimo) se arriverà il sì dai garanti toccherà al sindaco convocare le elezioni con almeno altri 30 giorni di campagna elettorale.