TREVISO – 10.01.2020 – Un’associazione a delinquere
finalizzata alla truffa nella quale i vertici sapevano tutto e i dipendenti erano utilizzati come mezzo per vendere azioni spazzatura. È questa l’accusa che, con la notifica dell’avviso di chiusura indagini, la Procura di Treviso (pm Massimo De Bortoli e Gabriella Cama) contesta a sei alti dirigenti di Veneto Banca tra il 2012 e il 2015, l’anno in cui il castello di carta di Montebelluna è venuto giù, portando al crac e azzerando i risparmi di migliaia e migliaia di risparmiatori che avevano acquistato azioni e obbligazioni. Secondo i magistrati della Marca, al vertice c’era l’amministratore delegato Vincenzo Consoli (nella foto). Con la complicità di altri manager, pur sapendo i reali conti dell’istituto, che il titolo (non quotato in borsa e, quindi, non vendibile immediatamente da parte dei soci) fosse sovrastimato e che vi fosse il rischio che la banca diventasse insolvente, organizzarono un piano che, coinvolgendo tutte le filiali, spinse per una massiccia e capillare vendita di azioni -anche con il sistema delle cosiddette “baciate”, prestiti concessi con l’obbligo di acquisto di una quota di azioni-, utili per rafforzare il capitale.
Il processo a Treviso è arrivato per una tortuosa via giudiziaria. Inizialmente istruito a Roma per il reato di ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio, arrivato all’udienza preliminare è stato spedito in Veneto per competenza territoriale. E, qui, dove peraltro la Procura indaga anche per bancarotta fraudolente dopo che la Corte d’Appello di Venezia ha dichiarato l’insolvenza di Veneto Banca, il sostituto procuratore De Bortoli ha reistruito la pratica, riesaminato le posizioni degli indagati e formulato un nuovo quadro accusatorio. Con la notifica dell’avviso di chiusura indagini gli indagati hanno la possibilità di visionare il materiale raccolto dalla Procura, di presentare proprie memorie e documenti e di chiedere di essere ascoltati. Dopodiché i magistrati decideranno se chiedere o meno il rinvio a giudizio.