VERBANIA – 15.01.2020 – La condanna
per tutti i 38 capi di imputazione, sei anni e mezzo di pena, il risarcimento di 15 milioni di euro con una provvisionale non inferiore a 7 milioni. È questa la richiesta, giunta al termine di un lungo dibattimento, che il pm Gianluca Periani ha avanzato per Giuseppe Nasini, uno dei soci e degli amministratori dell’Ossolana, società di manutenzioni industriali con sede a Verbania e cantieri in tutto il nord Italia, fallita nel 2015. Nasini, unico degli imputati insieme a Luigi Morelli a optare per il processo con rito ordinario, è accusato di aver contribuito scientemente al crac dell’azienda, cercando anche di sviare le sue responsabilità.
Il pm, nel ripercorrere le vicende dell’Ossolana, ha sottolineato il ruolo di amministratore di fatto di Nasini, che avrebbe contribuito a falsificare i bilanci dal 2012 in poi per nascondere le perdite, e ad attuare una serie di condotte volte ad artefare i conti per ottenere credito dalle banche e per drenare fondi a fini personali e di un’altra sua società utilizzando -in complicità con i soci- teste di legno individuate come amministratori di diritto ma non di fatto. Falso in bilancio, bancarotta fraudolenta, per distrazione, documentale e accesso abusivo al credito sono i reati contestati. Tutti provati dall’istruttoria dibattimentale – ha detto Periani, che ha rimarcato come Nasini fosse a tutti gli effetti colui che gestiva la società. Non sarebbe stato, insomma, il semplice manager che, nella sua difesa, ha detto d’essere, ribaltando le accuse sugli altri soci, i fratelli Pier Paolo e Gian Luca Morelli, anch’essi imputati e condannati con rito abbreviato. Su questo aspetto ha insistito Patrich Rabaini, legale del fallimento Ossolana, costituitosi parte civile: ha cercato di dissimulare il suo coinvolgimento cedendo le quote societarie al padre pochi giorni prima del fallimento; donando 900.000 euro, che probabilmente sarebbero stati sequestrati, al figlio per il suo diciottesimo compleanno il giorno in cui la Finanza chiudeva le indagini; ha simulato un rapporto di lavoro per la moglie, liquidandole anche il Tfr un mese prima che la società fallisse. L’avvocato ha anche stigmatizzato il ruolo e il comportamento del commercialista di Ossolana che, stando alla testimonianza di una delle teste di legno coimputate, avrebbe fatto lui il suo nome. “È quantomeno strano che un professionista si occupi di queste cose”, ha detto evidenziando che resta il dubbio su chi abbia falsificato i bilanci dal momento che “il curatore e il consulente della difesa ci dicono che la falsificazione non può essere stata fatta dagli imputati”.
L’accusa ha chiesto per l’altro imputato, Luigi Morelli (padre di Pier Paolo e Gian Luca, fondatore del gruppo industriale), la condanna a due anni. Gli viene contestato un solo episodio di bancarotta, l’aver percepito cospicui assegni mensili per consulenze che in realtà non ha mai prestato.
Dal processo è invece uscita l’Agenzia delle Entrate che, costituitasi parte civile alla prima udienza con l’Avvocatura dello Stato, non solo non ha mai presenziato alle udienze ma, mancando anche ieri e non depositando le proprie richieste, ha fatto venir meno la costituzione di parte civile.
Dopo le requisitorie di accusa e parti civili, la parola passa alla difesa. Fabrizio Busignani, legale di Nasini, parlerà il 28 gennaio. Il 31 marzo toccherà alla difesa Morelli e, dopo le eventuali repliche, il presidente del collegio giudicante Donatella Banci Buonamici (giudici a latere Rosa Maria Fornelli ed Elisabetta Ferrario) leggera il dispositivo della sentenza.