VERBANIA - 06-04-2020 -- Luca Meli ha 18 anni
e frequenta il quarto anno del Liceo delle scienze applicate all'Istituto Cobianchi. In questo tempo in cui molto di parla di giovani, anche in relazione ai problemi connessi alla didattica, ma poco li si ascolta, Luca ci offre la sua visione di questi "giorni particolari". Un contributo, il suo, di grande profondità che certa merita ascolto e la massima attenzione.
Il tempo di essere.
Io sono, tu sei ed egli è. Noi tutti insieme, che oggi più che mai dovremmo essere nazione. In questi giorni ormai siamo oppressi più che mai dalle nostre paure. Ed è veramente palese. Chi fugge in preda al panico da un capo all’altro del paese, chi fa la fila fuori dal supermercato per far scorte industriali, chi vende i DPI a prezzi esorbitanti schiacciando con le sue stesse mani la sua possibilità di salvezza, chi esce con gli amici perché tanto loro: “Stanno tutti bene”. Ma tutti questi comportamenti sono già stati ampiamente analizzati. Quello su cui io mi vorrei concentrare oggi non è il Noi, ma l’Io. Chi sei tu? Quando ti guardi dentro e ascolti i tuoi pensieri. Cosa pensi di te stesso? È qui che nascono i problemi. Sta dannatamente tutto qui. Non possiamo più fare finta che ciò che ci succede intorno sia semplicemente il prodotto di tante azioni compulsive, delle paure di tanti piccoli uomini, piccoli piccoli. Sembriamo grandi, ma chissà se lo siamo anche nel quotidiano. Forse si, forse no, forse ancora non abbiamo imparato a essere ma solo a sembrare. Questo potrebbe essere un problema. Uno di quei problemi che l’uomo ha insito nella sua intrinseca natura. Che si porta dietro da quando ce lo ricordiamo. Quante volte sembriamo chi siamo ma infondo riusciamo ad inscenarne solo la risultante di quello che la società vuole identificare in noi.
Dovremmo chiederci più spesso cosa vorremmo noi da noi stessi, e non dovremo mai deluderci, mai e poi mai, o ameno questo è quello che credo io. Dobbiamo essere capaci di ascoltare quella goccia nel temporale. Dobbiamo tornare a vedere le nuvole come i bambini, gridando nomi di cose e ballando sotto la pioggia aspettando il sole e poi l’arcobaleno. Uomini vittime della società, uomini grigi nella città. Laviamo sempre via le macchie di sole dai nostri cappotti credendoli brutti quando basterebbe solo sporcarli un po’ di più di felicità. Pronti sempre a gridare e mai ad accarezzare, a cercare di fregare la vita e non a gustarla. Dovremmo tornare bambini, a ridere di ogni cosa e a saltare in braccio alle persone a cui vogliamo bene. Dovremmo emozionarci per un regalo desiderato e piangere per la morte del pesciolino rosso. Dovremmo essere tutti arrabbiati come bambini, cosi da poter tornare a giocare insieme l’attimo dopo, che tanto basta “che mi chiedi scusa”. Dovremmo saper amare come ama un bambino. Perché magari siamo stati. Perché forse saremo. Magari anche perché sembriamo. Ma questo, questo, amico mio, è tempo di essere.