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VERBANIA - 16-04-2020 -- Di qui ai prossimi giorni,

pubblicheremo una serie di scritti di studenti sul tema del Coronavirus e su come dal loro punto di vista di giovanissimi, percepiscono la realtà complessa di questi giorni: tra paure, regole ferree e il desiderio di normalità. Quello che segue è il controbuto di Myriam Aicardi studentessa del 4° Liceo linguistico del Cobianchi.

La situazione in cui ci troviamo è decisamente tragica e penso che uno dei rischi principali che ci si pongono davanti sia quello di sottovalutarla.

La realtà che sto sperimentando io è quella che si sta verificando in Italia, e una delle maggiori criticità nell'affrontare questa piaga si sta rivelando la mancata diligenza dei cittadini. Personalmente ho sempre notato negli italiani una tendenza ad infrangere le regole e a non rispettare le leggi dello stato. Oggi però non si tratta solo di regole ma ,soprattutto, di rispetto, di senso civico e di comprendere che il comportamento di ognuno di noi non influisce solo su noi stessi ma su tutti coloro che ci stanno attorno, su tutto uno stato e su un intero pianeta.

É a causa della democrazia (che ci rende consapevoli dei nostri diritti di cittadini), come dice Fabio Armano nel suo ultimo articolo sulla rivista “Micromega”, che gli italiani pensano di avere il diritto di uscire di casa solo perché ne hanno voglia o ne sentono il bisogno. Ho visto numerosi post sui social con frasi come : “Non siamo agli arresti domiciliari, perché non dovremmo poter uscire nemmeno a fare una passeggiata? Noi non abbiamo fatto niente di male.” O ancora : “E’ un nostro diritto uscire di casa, non facciamo male a nessuno, non ci possono impedire di fare una corsa al parco”. All'inizio non ero sicura che chi postava queste cose avesse completamente torto, ma poi mi sono informata su come si trasmette il virus, ho pensato a come farei senza la mia nonna adorata, ho visto le immagini di tutte quelle persone nei parchi a Milano che facevano picnic per terra tutti vicini e sorridenti e ho avuto paura. Ho capito che restare in casa per un mese o anche due non ci costa niente se pensiamo a tutto quello che c'è in gioco; perché la vita non la stanno perdendo solo i nostri nonni ma anche i dottori che in ospedale devono stare loro vicino, anche i giovani.

Una cosa che il mondo deve assolutamente capire in questa situazione, se vuole risolvere veramente il problema, è che siamo tutti sulla stessa barca. Il concetto è più chiaro che mai. Gli stati devono cooperare affinché il virus venga debellato il più velocemente possibile, perché, se l' unico obiettivo dei nostri politici è eliminare il virus in Italia allora poi come faranno a fare le vacanze a Bali o nelle Antille francesi la prossima estate? Come faranno tutti gli Italiani che studiano all'estero a tornare in università senza la sicurezza di non contrarre il virus? Questa malattia è una Pandemia, Dal Greco pân ‘tutto’ e dêmos ‘popolo’. Coinvolge quindi tutto il popolo, lo dice la parola stessa, e tutto il popolo, insieme, deve trovare una soluzione e lottare contro questo virus fianco a fianco.

Sono sicura però che questa esperienza non ci stia insegnando solo cose negative; nel profondo del mio cuore spero che questa tragedia faccia comprendere ai potenti che siamo tutti uguali e tutti collegati. Questo virus non colpisce solo i bianchi, solo le donne, solo i poveri o solo i gay ma colpisce tutti, non fa preferenze.

Bisogna quindi cercare di costruire una società dove aiutare un tunisino, un giapponese, un ricco o un povero significa semplicemente aiutare un vicino, ma forse è solo un sogno utopico.

Scendendo più nel personale posso dire che per sopravvivere a questi lunghi giorni di quarantena, che sono indispensabili si, ma anche pesanti, mi sto focalizzando su me stessa e sto analizzando con calma e minuziosità il frenetico ritmo che animava la mia vita prima del virus. Mi sto rendendo conto che la mia vita è veramente intossicata da stereotipi e gabbie costruiti dalla società in cui vivo, e che sono pochissime le persone che conosco che sono riuscite a rompere le sbarre di queste gigantesche gabbie immaginarie che mi spingono a spendere 50 euro al mese per avere un corpo perfettamente depilato, a fare attività fisica solo per avere un aspetto migliore e a stare male, fisicamente e psicologicamente, solo per avere il voto più alto in una verifica alla quale tra una settimana non starò nemmeno più pensando. Le vite di tutti nella nostra società occidentale sono basate su una routine frenetica fondata su una deificazione del lavoro e dei soldi che non potrà mai portare alla felicità. Forse questa pausa potrebbe spingerci a riflettere su cos'è davvero importante, su quali sono le scelte che daranno davvero una svolta positiva al nostro futuro. Una frase che mi ha colpita moltissimo in mezzo alle centinaia di notizie di queste settimane è stata quella del papa: “non potevamo pensare di restare sani in un mondo malato”. Penso sia la cosa più vera che le mie orecchie abbiano sentito dall'inizio dell'epidemia fino ad ora. Il nostro mondo è malato, e non solo di smog ma anche di guerre, di corruzione, di cattiveria, di fame, di siccità, di ingiustizie sociali. E in mezzo a tutto questo crediamo davvero che un lavoro ben retribuito e una bella casa ci salveranno?

Anche altre parole mi hanno colpita e mi stanno accompagnando nei miei giorni, sono quelle di Jung nel suo libro “Rosso”: “invece di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una volta sceso. [...] L'attesa serve a sublimare il desiderio.” Pensare a quando rivedrò il mio fidanzato, la sua mamma che lavora in ospedale e i miei nipotini mi tiene viva in questa attesa e sapere quanto grande sarà la mia gioia nel rivederli mi rende già felice.

Sto anche riacquistando il piacere di passioni ormai dimenticate come dipingere e scrivere. Quest'ultima sta diventando una tappa fondamentale delle mie giornate e mi sto chiedendo se non potrei farne un lavoro, dato che mi potrebbe permettere di dare voce a chi non ne ha e di arrivare in modo diretto al cuore delle persone proprio come piace a me. Se questo desiderio si realizzasse, significherebbe che una delle cose più belle della mia vita sarebbe nata da uno dei periodi più tragici, e questo può farci comprendere in modo più che concreto che da ogni momento della storia, che sia di una singola persona, di una nazione, o dell'intero pianeta si può trarre sempre qualcosa di positivo anche se farci caso, a volte, non è così semplice.

Un'ultima cosa che sto imparando stando sola la maggior parte del mio tempo è a non far dipendere la mia felicità dagli altri; riesco sorprendentemente ad essere felice sola con me stessa e cercherò di non scordarmi di questa mia capacità anche quando si ritornerà alla normalità.

Posso concludere dicendo che l'aspetto più duro da affrontare per quanto mi riguarda è non conoscere il domani. Non sapere quando arriverà il giorno in cui potrò rivedere le persone che amo mi pesa sullo stomaco. Spero però che questo giorno arriverà grazie alla cooperazione di ogni singolo stato e all'impegno di tutti i cittadini, che magari lungo la strada avranno imparato come migliorare se stessi e la società che li circonda.

Myriam Aicardi

(Foto d'archivio)