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bistecca cavallo
VERBANIA – 10.12.2015 – La sentenza arriverà la settimana prossima,

il 16 dicembre. È alle battute conclusive il processo che vede imputati i soci titolari – lo erano nel 2012 – del ristorante Dam ‘a tràa di Suna. Devono rispondere di tre capi d’imputazione: commercio di sostanze nocive, violazione delle leggi in materia di igiene di alimenti e bevande, tentata frode in commercio. I fatti contestati risalgono all’estate del 2012, quando una donna di Pallanza, dopo aver cenato nel locale il 24 giugno, accusò dolori di stomaco e dovette ricorrere alle cure del Dea, dove le fu diagnosticata un’intossicazione alimentare guaribile in sette giorni. La cliente, che aveva consumato una bistecca di cavallo, sporse denuncia.

Il 18 agosto a Suna arrivarono i carabinieri del Nucleo antisofisticazione di Torino, che redassero un verbale contestando sostanzialmente la non regolare conservazione di alcuni alimenti e una discrepanza nel menù che presentava come portata il “persico al burro e salvia con finocchi agli agrumi” ma in dispensa il persico non c’era e l’unico pesce presente era la tilapia, specie di minor pregio e di ancor minor costo.

L’accusa di commercio di sostanze nocive è connessa al consumo della bistecca di cavallo, le altre due al verbale dei Nas. Oggi in aula è stato ascoltato un maresciallo che partecipò al sopralluogo. Il militare ha riferito al giudice Luigi Montefusco che al primo piano, sotto un gazebo e all’aperto, si trovavano scaffali con alimenti secchi e un freezer a pozzetto con cibi mal conservati, privi di etichettatura ma anche segnati da “bruciature da freddo”. Nel menù – ha riferito – il persico era presente ma non ve n’era traccia nelle dispense. Nessun controllo fu effettuato sui piatti realmente ordinati e consumati dai clienti mentre risultò in regola la dispensa principale del locale. Nel presentare i suoi testimoni, il cuoco e una cliente di quella sera, la difesa ha esposto la tesi secondo cui il persico era in menù ma non c’era materia prima e non fu servito – così ha confermato la cliente – mentre la tilapia era nel menù di mezzogiorno, quello degli operai; e che non ci fu alcun problema con la carne di cavallo, anche perché non si sentì male nessun altro.

Mentre il pm Maria Traina ha chiesto l’assoluzione per la frode (il menù persico-non persico) ma una condanna per gli altri capi d’imputazione pari a 9 mesi e 5.000 euro di multa a ciascun imputato, la difesa ha chiesto l’assoluzione piena. Per l’intossicazione perché non sono stati eseguiti esami che dimostrino il nesso di causalità tra la carne di cavallo e il malore. Per la conservazione degli alimenti perché quello sotto il gazebo era cibo di scarto non destinato alla vendita: quello buono era nell’altra dispensa.