MONTEBELLUNA – 14.12.2015 – Suna e Fondotoce nel Vco,
Borgolavezzaro Pogno, Gargallo e Ghemme nel Novarese. Sono 6 le filiali di Veneto Banca sul territorio che chiuderanno entro il mese di gennaio. S’aggiungono alle 5 che hanno abbassato la serranda a novembre (Druogno, Vogogna, Gravellona zona industriale, Castelletto Ticino, Borgomanero stadio) e rientrano tra le 40 che il nuovo piano industriale varato dall’ad Cristiano Carrus ha previsto nell’immediato in tutta Italia. Venerdì sera a Montebelluna i sindacati hanno chiuso l’accordo con l’istituto per la salvaguardia dei 130 posti di lavoro legati alle chiusure: il personale in eccedenza verrà trasferito e assorbito nelle sedi vicine, ma si incentiverà anche il part time e si ricorrerà al fondo esuberi.
Questa cura dimagrante forzata e anticipata nei tempi è figlia dello stato in cui versa Veneto Banca, attesa sabato dalla storica assemblea di approvazione della spa – oggi è una società cooperativa – e che si dibatte tra conti in rosso (-1 miliardo nel bilancio 2014, -700 milioni nei primi nove mesi del 2015) e pesanti svalutazioni del titolo. La notizia che il recesso di chi non aderirà alla spa sarà di 7,3 euro per azione (nel 2014 valevano 39,50 euro l’una) e che il rimborso non avverrà perché la banca non ha i fondi per sostenerlo ha agitato ulteriormente le acque. Il clima in attesa dell’assemblea si surriscalda e se l’esito – la trasformazione in spa e il futuro collocamento in Borsa – non pare in discussione nonostante mugugni, mal di pancia, proteste e esposti, è ancora da chiarire la strada che la banca, nella quale confluì qualche anno la popolare di Intra, percorrerà dopo, con una o più possibili (probabili) aggregazioni. Alle preoccupazioni degli azionisti sul clamoroso deprezzamento del loro capitale e a quelle degli azionisti potrebbero aggiungersi anche quelle dei dipendenti, che rischiano di dover subire ulteriori tagli molto più incisivi della manciata di filiali soppresse o sopprimende.