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VERBANIA - 01-12-2020 -- S’erano prestati a offrire un finto contratto di lavoro, un’attestazione che, depositata in Tribunale, avrebbe potuto -come poi è accaduto- favorire il rilascio di permessi d’uscita a due uomini appena arrestati e sottoposti al regime dei domiciliari. Nasce da una non del tutto chiara vicenda di armi al confine con la Svizzera il processo che ha portato alla condanna di due imprenditori marchigiani. Un magrebino titolare di un’impresa edile e un’italiana proprietaria di un’azienda di fornitura e posa di pavimenti sono stati ritenuti colpevoli di false dichiarazioni all’autorità giudiziaria e condannati ciascuno a 8 mesi (pena sospesa).

Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 finsero di assumere con brevi contratti di lavoro i tunisini Salem Lofti e Brahmi Maher, che nel luglio del 2014 erano stati arrestati dalla Guardia di finanza di Domodossola. Sul treno notturno Parigi-Milano viaggiavano con 21 fucili da caccia nascosti in due trolley. Le armi di contrabbando, che avevano acquistato al mercato nero in una banlieu di Parigi da un connazionale e che dissero erano destinati a conoscenti che li avrebbero utilizzati per andare a caccia di uccelli in Tunisia, insospettirono le autorità.

I carabinieri indagarono sulla provenienza dei fucili ma anche sulla loro destinazione. I due magrebini, posti ai domiciliari in Abruzzo, furono tenuti sotto controllo durante i loro movimenti. Vennero identificati in una moschea di Teramo in un orario in cui avrebbero dovuto lavorare. Nei giorni successivi al rilascio, infatti, avevano fornito ai loro avvocati le attestazioni che questi, ignari della falsità, avevano depositato con la richiesta che ai loro clienti fosse concesso il permesso di assentarsi dal domicilio nelle ore di lavoro.

Per questi documenti sono stati condannati. Per le armi, Lofti e Brahmi sono stati condannati in primo grado dal Tribunale di Verbania a due anni, quattro mesi e 15.000 euro di multa.