OSSOLA- 11-12-2020-- Novantanove anni fa nasceva Luigi Rusconi, che fu partigiano nella divisione Valtoce. Rusconi è tuttora in ottima forma, come racconta il nipote Andrea Del Duca: “Se volete sapere dello zio ora… posso dirvi che tuttora guida la macchina e naviga su internet”. Ecco il suo racconto dei mesi in cui fu partigiano, già tramandato in alcune note contenute nella agenda tascabile “del Patriota Luigi Rusconi della Val Toce”, in cui, sulla seconda pagina di copertina, sta scritto “Casa mia può sostituire il mondo, mai il mondo casa mia!”.
“L’otto settembre 1943 trovò Luigi a Fiume. Da lì con un amico prese il treno per Milano pensando, come tanti in quei giorni, che la guerra fosse finita. Arrivato a Verona trovò la stazione blindata dai tedeschi, che rastrellavano tutti i giovani in età di leva per caricarli sui carri merci diretti ai campi di concentramento in Germania. Quando tutto sembrava perduto un passeggero sconosciuto che viaggiava nello stesso scompartimento prese i loro documenti e modificò con un pennino le date di nascita, facendoli risultare troppo giovani per la leva. I soldati presero per buoni i documenti falsificati e li lasciarono andare.
Dopo alcuni mesi nascosto nella casa di vacanza sul lago d’Orta, vedendo che la situazione andava peggiorando e che i rastrellamenti si facevano sempre più frequenti, accolse l’invito di alcuni amici ad arruolarsi tra i partigiani. Si imbarcò su una barca lasciando la spiaggia di Lagna a San Maurizio d’Opaglio viaggiando di notte per sfuggire alla mitraglia che batteva il sentiero verso il Boden, dove si unì alla formazione “Val Toce” comandata da Alfredo Di Dio.
Una delle azioni lo vide impegnato a ricevere i lanci dei rifornimenti alleati sul Mottarone. Da qui la colonna tornò al Boden di notte, sempre correndo per non essere sorpresa dalla mitraglia all’alba. Due uomini per ogni contenitore da 30 kg, con cambi frequentissimi, visto il peso, la ripidità dei sentieri e l'assenza di luce. Un giorno intero di sonno all’arrivo.
Tra le attività partigiane c’era l'accompagnamento al confine di molte persone in fuga, ebrei e perseguitati politici, che al Passo San Giacomo erano affidati alle guardie svizzere. Tra questi ricordava anche due ex prigionieri di guerra russi provenienti dalla Jugoslavia.
Il 10 settembre 1944 i partigiani della Val Toce e della Valdossola entrano a Domodossola. Il comandante del presidio tedesco, disorientato dal fuoco partigiano dalle montagne, negoziò di abbandonare la città con le armi ma senza munizioni. Luigi, ferito da “scure amica” durante un rifornimento di legna, vi arrivò in barella e fu curato all'ospedale di Domodossola.
Non potendo camminare diventò portaordini motorizzato. Su una moto Guzzi 240, il 12 ottobre fu inviato a raggiungere il comandante Alfredo Di Dio, in trasferimento in auto verso Cannero, per avvisarlo di strani movimenti segnalati lungo la strada. Poco prima di raggiungere il Sasso di Finero udì rumore di spari. Temendo il peggio riuscì a raggiungere una mitragliera partigiana che iniziò a battere la cascina da cui si presumeva provenisse il fuoco nemico. Alcuni uomini fuggirono da quella postazione, ma per il Di Dio e il colonnello Attilio Moneta era troppo tardi.
Con lo scatenarsi del contrattacco nazifascista dovette ripiegare verso le montagne. “Rotolato in Svizzera dal Passo S. Giacomo” scrive nell’agenda “cacciato dai carri armati tedeschi dal territorio della Repubblica dell’Ossola conquistato dal nostro raggruppamento e con la perdita del Comandante Cap. Alfredo Di Dio, medaglia d’oro alla memoria”. Prima di passare il confine ebbe cura di affidare la moto all'albergatore del Passo San Giacomo con preghiera di restituirla, illesa, al proprietario.
Internato dagli Svizzeri nella zona di Berna, divenne ufficiale responsabile del campo su acclamazione dei commilitoni che non volevano essere posti agli ordini degli ufficiali italiani fuggiti l’otto settembre.
Tra ordini e contrordini il tempo del rientro in Italia non arrivava mai. Correva voce che gli Alleati non volessero il rientro dei militari italiani internati in Svizzera. Il 4 giugno 1945, stanco di aspettare, evase con altri due commilitoni travestiti da preti, ma venne sorpreso dalle guardie di confine nella baita dove i contrabbandieri li avevano fatti sostare. Mandato in campo di punizione rientrò solo il 5 luglio 1945”.