VERBANIA - 29-01-2021 -- Il risarcimento non basta: ci sono anche il danno d’immagine e il costo della videosorveglianza. È con queste motivazioni che il comune di Omegna chiede che sia negata, così come proposta, la messa alla prova a due giovani cusiani accusati di danneggiamento aggravato. Ventidue anni il primo, ventiquattro il secondo, sono stati identificati dalla polizia, tramite le telecamere di sorveglianza, come coloro che, in una notte di dicembre del 2019, rovesciarono alcuni vasi di piante posate come addobbo natalizio sul lungolago Gramsci, in via Garibaldi.
Per quello e per altri episodi simili avvenuti in quel periodo, il sindaco Paolo Marchioni sporse denuncia. Le indagini furono veloci e portarono all’individuazione dei due ventenni, poi citati a giudizio per il solo episodio delle piante divelte.
Ricevuta la notizia del processo, la giunta Marchioni ha deciso di costituirsi parte civile, dando mandato a un avvocato. Che, ieri mattina, nell’udienza di smistamento che s’è aperta in atti preliminari davanti al giudice Antonietta Sacco, ha dovuto prendere atto che i giovani, difesi dagli avvocati Alberto Pelfini e Maria Grazia Daverio, hanno optato per un rito alternativo. Ammettendo l’episodio –l’unico, hanno detto, dicendosi dispiaciuti– hanno chiesto la messa alla prova, cioè 200 euro di risarcimento (l’entità del danno secondo il capo di imputazione) e un congruo numero di ore di lavori socialmente utili.
Troppo poco il denaro offerto, ha obiettato l’avvocato del Comune, che ha chiesto si tenga conto del danno d’immagine arrecato all’ente dagli atti vandalici e dei costi tecnici sostenuti per l’acquisto delle telecamere. In verità, ha obiettato l’avvocato Daverio, ne avevamo offerti 400, ma non abbiamo avuto risposta. Per l’avvocato Pelfini non è concepibile che due imputati per un fatto specifico debbano pagare le telecamere per tutti, come se fossero responsabili di ogni atto vandalico commesso a Omegna: “non siamo - ha argomentato - nel periodo storico in cui si diceva di colpirne uno per educarne cento”.
È compito del giudice valutare la congruità dell’offerta di risarcimento rispetto al reato contestato. Risarcimento inteso, però, non tanto e non solo come mero ristoro del danno, quanto come condotta riparatoria che, accompagnata ai lavori di pubblica utilità, al termine del trattamento estingua il reato.
La messa alla prova comporta anche che le spese legali per la costituzione non siano addebitate agli imputati. In questo senso, se l’11 marzo -data alla quale il giudice ha rinviato il procedimento, in attesa del piano di trattamento per i lavori di pubblica utilità- verranno entrambi ammessi all'istituto della messa alla prova, il comune di Omegna resterà a bocca asciutta. Anzi: andrà in rosso perché i 200 euro di risarcimento (o la maggior somma che deciderà il magistrato) non bilanciano i 4.092,14 impegnati per la parcella del legale.