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ex pretorio genn 16
VERBANIA – 23.01.2016 – Quale sarà la sorte

delle ex prigioni del Pretorio ora che c’è un acquirente? Per il sindaco Silvia Marchionini non cambia nulla rispetto all’annunciata idea di attendere aprile, proseguire nel comodato col Museo del Paesaggio – che sfrutta i locali come “vetrina” – e discutere di un progetto di riqualificazione più ampio di tutto il palazzo.

In realtà la vicenda è molto più complessa e rischia di avere risvolti di carattere legale. Tornare indietro, cioè cancellare la vendita, appare infatti un’operazione molto azzardata, per non dire impraticabile. L’asta che s’è aperta a dicembre e che non ha mai interrotto il suo iter nonostante gli annunci stampa dell’Amministrazione, è arrivata al suo approdo e a un punto di non ritorno. L’apertura delle buste, la verifica delle offerte e l’assegnazione provvisoria hanno determinato, non solo una legittima aspettativa nell’acquirente, ma anche obblighi contrattuali da entrambe le parti.

In questo senso c’è una certa giurisprudenza e diverse sentenze che vincolano alla conclusione del contratto. In particolare la sentenza del Tar Lazio 7428/2011 che testualmente recita “una volta pronunciata la cosiddetta ‘aggiudicazione provvisoria’ a favore di un soggetto, lo spazio recessivo della Pubblica Amministrazione diviene, dunque, molto angusto: all'Amministrazione non è più consentito di ‘cambiare idea’ (rectius: di revocare la sua precedente determinazione) in ordine all'obiettivo fissato dal bando (…), dovendosi Essa limitare a verificare se le regole volte all'individuazione dell'aggiudicatario (e dunque del soggetto con il quale concludere il contratto) siano state, o meno, rispettate”.

I giudici amministrativi indicano solo due circostanze per le quali è possibile tornare indietro: “esclusivamente in presenza di (rilevanti ed insanabili) inadempimenti dell'altra parte contraente”, “esclusivamente in presenza di ‘sopravvenienze’ (eventi sopravvenuti o esiti di accertamenti conoscitivi relativi a requisiti o presupposti) atte ad operare (in attuazione a specifiche disposizioni di legge o del bando) come ‘condizioni risolutive’”.

Più esplicitamente la sentenza afferma che “se così non fosse si dovrebbe giungere alla conclusione che la Pubblica Amministrazione avrebbe la prerogativa (per così dire) sovrana di risolvere unilateralmente e sulla scorta di considerazioni puramente soggettive (volte a verificare solamente la permanenza dell'utilità o anche della semplice convenienza dell'operazione già conclusa), un'obbligazione a suo carico ormai perfezionatasi”.

Con queste premesse anche se il sindaco, la giunta o il Consiglio comunale decidessero di cambiare idea rischierebbero di incorrere in un ricorso dei potenziali acquirenti che potrebbero far valere le loro ragioni in tribunale.