VERBANIA - 31-05-2021 -- Un “modesto quadro indiziario” e nessun pericolo di fuga. Sono questi i motivi per i quali il gip di Verbania non ha convalidato sabato il fermo di Luigi Nerini ed Enrico Perocchio, rispettivamente amministratore delle Funivie del Mottarone e direttore d’esercizio dell’impianto sul quale, domenica scorsa, hanno perso la vita 14 persone.
In 24 pagine di ordinanza viene smontata, per gli elementi di prova finora acquisiti, la tesi della Procura secondo cui la manomissione dei freni d’emergenza ammessa dal caposervizio Gabriele Tadini sarebbe stata condivisa e approvata dagli altri due.
Il gip rileva che gli stessi dipendenti della società, sentiti dagli inquirenti, non l’hanno confermato e, anzi, qualcuno l’ha del tutto negato. Non v’è prova che Nerini e Perocchio fossero a conoscenza dei guasti all’impianto frenante, già oggetto di due interventi di manutenzione e in attesa di un terzo, slittato per il maltempo delle scorse settimane.
Al contrario ci sono gravi indizi nei confronti del caposervizio che ha avuto per lungo tempo “una condotta scellerata, della quale aveva piena consapevolezza, posta in essere in totale spregio della vita umana e con una leggerezza sconcertante”. Da ciò si deduce il rischio di reiterazione del reato, poiché si ritiene che egli “non abbia la capacità di comprendere la gravità delle proprio condotte e che, trovandosi in analoghe situazioni, reiteri la stessa leggerezza con altre condotte talmente pregiudizievoli per la collettività”. Ciononostante, vista l’età, l’incensuratezza, la condizione familiare e le ammissioni, non deve stare in carcere ma può scontare la misura cautelare ai domiciliari.
Decisivo per le decisioni del gip è stato l’interrogatorio di Tadini, che il magistrato sottolinea si sarebbe dovuto sentire fin da subito -perché chiamato in causa dagli altri dipendenti- come persona indagata, con l’assistenza di un legale. Invece l’interrogatorio è cominciato da persona informata sui fatti. In un primo momento il caposervizio ha ammesso la manomissione dei freni, addossandosene in pieno le responsabilità. Solo dopo, incalzato dalle domande, ha riferito: “dell’iniziativa di mettere il ceppo ne ho parlato anche con l’ing. Perocchio al quale ho detto che per poter mantenere, far funzionare l’impianto regolarmente, sarei stato costretto ad usare tale accorgimento. Lo sapeva anche il sig. Nerini devo ammetterlo, di fatto lo sapevano tutti”.
Quel “sapevano tutti” secondo il giudice è generico, non circostanziato e non suffragato da prove. Soprattutto è stato pronunciato da chi, agli inquirenti, ha detto di non avere il potere di fermare l’impianto, dichiarazione falsa secondo il gip perché la legge espressamente mette in capo a lui questa responsabilità. E l’avrebbe fatto con un interesse, chiamare in causa altri sapendo che su di lui gravava una grande responsabilità e la possibilità di dover risarcire in proprio.
Con questa deduzione si ribalta la tesi della Procura secondo cui Nerini e Perocchio hanno concordato di non fermare la funivia -circostanza da entrambi smentita- per non incorrere in un danno economico. Il gip rileva che Perocchio, dipendente della Leitner e consulente esterno, aveva l’interesse contrario: ben mantenere l’impianto; e che Nerini, in possesso di un contratto di manutenzione oneroso, avrebbe risparmiato di più bloccando la funivia in bassa stagione, piuttosto che in piena estate.
Al di là degli elementi di prova ritenuti deboli e delle “mere, seppur suggestive, supposizioni”, sull’aspetto del pericolo di fuga il giudice è netta nel respingere le tesi della Procura.