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tribunale ingresso atrio

VERBANIA - 09-10-2021 -- Quando la mamma tornò a prenderlo, a casa dell’amica alla quale l’aveva affidato per la notte, il bambino stava male. Si muoveva a malapena, aveva vomitato e gli occhi erano riversi all’indietro. Alessandro (il nome, di fantasia, ne tutela l’anonimato), di soli 13 mesi, fu immediatamente portato all’ospedale di Domo e, da lì, riscontrata un’emorragia cerebrale, fu trasferito in elicottero d’urgenza a Novara, dove rimase ricoverato per 165 giorni.

Era il settembre del 2016 e quell’episodio, approfondito dai medici, rivelò i maltrattamenti subiti. La diagnosi fu: sindrome del bambino scosso. Qualcuno l’aveva letteralmente agitato per il tronco e nella testa, che in un neonato è proporzionalmente molto più grande del corpo rispetto a un adulto e non è sorretta da un’adeguata muscolatura del collo, il cervello aveva ripetutamente e con forza urtato le pareti del cranio, provocando lesioni neurologiche e la rottura dei vasi sanguigni.

Sono passati cinque anni da quegli spaventosi momenti e il bambino s’è ripreso. Tolto alla madre biologica e affidato agli zii, è tenuto sotto controllo ma non è escluso che, in futuro, emergano danni permanenti. Questa circostanza, oltre a essere importante per la salute e la vita di Alessandro, è uno dei nodi fondamentali del processo a carico della donna che l’aveva in custodia e che, nell’ipotesi della Procura di Verbania, è colei che l’ha scosso fino a causargli il grave trauma.

L’imputata, che oggi ha 36 anni, è accusata di lesioni personali gravissime per le quali il pm Laura Carrera, pur avendo derubricato il capo d’imputazione in lesioni gravi (con pena massima scesa da 12 a 7 anni), ne ha chiesto la condanna a 4 anni, negandole anche le attenuanti generiche per la sua condotta processuale. Nelle numerose udienze che si sono tenute durante l’anno, non ha mai partecipato, né ha voluto rendere esame o raccontare che cosa sia successo a casa sua.

Al di fuori del piano processuale, la vicenda nasce in un quadro di disagio sociale, con la tossicodipendenza sullo sfondo. La mamma di Alessandro, unica ad accudire il bambino perché il padre biologico era in carcere, aveva lasciato il bimbo all’amica per andare in Lombardia appresso al nuovo compagno e, con lui, approvvigionarsi di stupefacente. Pur essendo stato accertato che, al ritorno, s’era davvero spaventata e preoccupata, chiamando il 118 e portando il bimbo in ospedale, è stata indagata per abbandono di minore, reato per il quale ha poi patteggiato.

Il processo è stato aggiornato per repliche e per la sentenza.