VERBANIA - 13-12-2021 -- “Abbiamo fatto tutto quello che potevamo per scoprire la verità”. Fortunato Marcovicchio (nella foto), ispettore di polizia in pensione, è stato tra gli investigatori che, nel 2001, si occuparono del caso di Mohammed Sow, l’operaio senegalese scomparso nel Vergante e i cui resti sono stati rinvenuti in un bosco di Oleggio Castello la scorsa primavera. “Sapevamo che era stato ucciso – racconta –. La convinzione è arrivata durante le indagini, man mano che abbiamo verificato alcuni elementi”. Il sostituto procuratore Fabrizio Argentieri, che aveva allestito un pool di investigatori delle sezioni di pg della Procura di Verbania, scartò definitivamente la tesi dell’allontanamento volontario a poche settimane dalla scomparsa. “Le indagini partirono in salita perché le prime dichiarazioni che raccogliemmo in fabbrica non ci portarono in quella direzione. C’era chi negava decisamente e chi non aveva visto, o non si ricordava”.
Poi emersero i dissidi, smentiti dal datore di lavoro, per uno stipendio corrisposto all’operaio in misura inferiore al dovuto. La convinzione di un fatto di sangue maturò definitivamente durante un rilievo scientifico, specialità dell’ispettore. “Trovammo su una parete una macchia di sangue che, per forma e altezza, ci fece pensare a uno schizzo proveniente da una ferita al capo”.
Le analisi effettuate nei mesi scorsi dal medico legale Cristina Cattaneo sui resti rinvenuti nei boschi di Oleggio Castello, hanno confermato che il decesso avvenne per ferite multiple e gravi al cranio, provocate verosimilmente da una spranga o da un oggetto simile.
“Il fatto che il corpo non fu trovato, certamente ha pesato nei processi che si sono celebrati – aggiunge l’ex ispettore –. Abbiamo portato intercettazioni telefoniche e ambientali e svolto un’attività molto approfondita. Col dottor Argentieri e i colleghi di Verbania ci siamo impegnati moltissimo per far emergere la verità. Anche il procuratore aggiunto di Torino Vittorio Nessi, in Appello, ha insistito”.
Il caso Sow si conclude, sul piano giudiziario, con un’assoluzione definitiva. La verità storica ha ora accertato che il giovane senegalese fu ucciso e il suo corpo nascosto in un bosco non distante dall’azienda in cui lavorava e dal paese in cui risiedeva. Nessuno ne risponderà. “Posso solo dire che noi, come investigatori, abbiamo seguito una pista che ritenevamo valida e l’abbiamo portata avanti coi magistrati in tutti i gradi di giudizio che la legge consente”.