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VERBANIA – 02.03.2016 – Ora i rapporti

sono tornati alla normalità e tutti e tre vivono di nuovo insieme in un centro del basso Verbano, ma le scorie di quel burrascoso gennaio del 2014 non sono ancora smaltite. Con l’accusa di maltrattamenti e lesioni (quest’ultime ormai cadute) è a processo a Verbania un uomo, di nazionalità albanese, padre di due figli allora entrambi minorenni, contro i quali avrebbe utilizzato un metodo educativo troppo rigido e violento, fatto di sberle e cinghiate.

La storia matura in un contesto sociale di disagio. Il padre è disoccupato e fatica a mantenere i due figli, che ha cresciuto da solo perché, fin da quando erano piccoli, la mamma è ricoverata in Albania con gravi problemi psichiatrici. I due ragazzi, un maschio e una femmina, sono seguiti dagli assistenti sociali e hanno i problemi comuni agli adolescenti, con comportamenti che sfociano in qualcosa di più di semplici marachelle. “Avevo rubato un portafogli in palestra”, ha raccontato al giudice Raffaella Zappatini la primogenita. “Avevo rubato del denaro e una bicicletta”, ha aggiunto il maschio, oggi diciassettenne e che, nel 2013, era stato anche fermato dai carabinieri perché al volante di un’auto senza patente. Per questi motivi più seri, ma anche al culmine di liti per altri più futili (la figlia ha anche raccontato che disapprovava la sua relazione con un ragazzo di colore), il genitore imponeva l’autorità alzando le mani anche, come ha spiegato l’adolescente, con la cinghia dei pantaloni. Tra il 2012 e il 2014 gli episodi si fecero più frequenti e questo ruolo di padre-padrone fu confidato dalla giovane all’assistente sociale, che il 20 gennaio, in un colloquio, seppe che il pomeriggio il padre aveva colpito a cinghiate il figlio. Avvisò i carabinieri, che arrivarono nell’abitazione, raccolsero le testimonianze, prelevarono i due figli e, dopo averli accompagnati in Comune e in ospedale, li avviarono nei giorni successivi in una casa famiglia, dove sono rimasti un anno e mezzo. In quel periodo i rapporti si sono ricomposti: i figli hanno incontrato il padre, si sono ravvicinati e volontariamente hanno scelto di tornare a casa e ricomporre la famiglia. Questa ritrovata serenità li ha spinti oggi a ritirare le querele per le lesioni, ma il papà resta a processo per maltrattamenti, reato perseguibile d’ufficio. Nell’udienza di oggi, oltre ai figli, ha testimoniato uno dei carabinieri che intervenne quel giorno. Il giudice ha aggiornato l’udienza per ascoltare l’imputato, che quel ruolo di padre-padrone l’ha abbandonato: da quando i figli sono tornati a casa non sono più accadute scene di violenza.