GHIFFA – 06.05.2015 – Lacrime e applausi,
silenzi e singhiozzi. Il caldo sole di maggio lascia il gelo nella comunità di Ghiffa che ieri ha salutato per l’ultima volta Matteo Ferrari, il 36enne elettricista morto in un incidente stradale sabato a Verbania, sul rettilineo tra Fondotoce e Mergozzo.
Nella chiesa di San Maurizio è di don Roberto Sogni il compito di celebrare le esequie di Matteo. Un figlio, un padre, un amico, una persona che – come ha ricordato il sacerdote – ha sempre cercato di assaporare la vita e di trarne il massimo attraverso lo sport, le camminate in montagna e le partite di calcio con gli amici. Attraverso la passione per la moto, che ha trasmesso al figlio. Attraverso i rapporti con gli amici di sempre, che ne hanno accompagnato il feretro fino alla terra del cimitero in cui da oggi riposa. Quegli amici che gli hanno gridato “vai Teo” dopo avergli poggiato sulla bara una bandiera della Juve, la squadra di cui era un grande tifoso.
Il ricordo, letto da una parente, va a trent’anni prima, al giorno in cui in quella stessa chiesa se ne andava un altro papà. Matteo aveva sette anni e non andò al funerale del genitore. Lo portarono alle giostre, per distrarlo. Poi lui si sedette a guardare il cielo e disse che suo papà era lassù tra le nuvole: “Ci piace ricordarti come quel piccolo uomo che mi invitava a concertarmi mentre io cercavo di distrarti”.
“Eri un buon papà”, ha aggiunto nell’omelia il sacerdote, che ha letto uno dei tanti post di affetto che inondano la bacheca del giovane, quello in cui vengono ricordate le ascese al rifugio del Piancavallone: “Arrivava al rifugio nel pomeriggio, quando la gente iniziava a dileguarsi. Entrava ad ordinare da bere, scambiava con noi due parole, molto rapide... doveva raggiungere il suo bambino che lo aspettava fuori. Mi piaceva vedere come accarezzava ed abbracciava il suo bambino e, non facendomi propriamente gli affari miei, si complimentava con lui dicendogli di essere fiero di lui e che la prossima volta sarebbero saliti più in alto, sempre più in alto! Lo invitava a guardare il panorama perché da lì poteva governare tutto! Sembra un ricordo melenso, che si fa ricordando chi se ne va... ma quanto ottimismo! quanta sicurezza! quanta speranza!”.
“Ho perso le parole”, aveva detto aprendo la cerimonia don Sogni che ha letto i versi di una nota canzone di Ligabue – “ho scoperto che era uno dei tuoi cantanti preferiti” –, cercando di far capire che anche se può sembrare che con la morte tutto finisca, in realtà non è così. “Ho letto sulla tua bacheca di Facebook ‘Dio deve smetterla di portare sempre via le persone migliori’. In questi giorni a molti sarà scappata un’imprecazione. Dio è anche lì, in un vuoto che non è vuoto”.
Il religioso parla al cuore. Cita Garcia Marquez e ciò che uno farebbe se sapesse di essere all’ultimo suo giorno di vita. Evoca la passione per le due ruote di Matteo e usa il commento con cui il telecronista annuncia il vincitore dei gran premi della Motogp per dire “Matteo c’è”. C’è per la mamma Gina e per Carlo, per il figlio Chicco con mamma Vanessa, per la famiglia tutta, per gli amici che in tanti non gli hanno fatto mancare la loro vicinanza anche nel giorno dell’addio. “Che è un addio degli occhi, un arrivederci – ha ammonito don Sogni –. Quello del cuore non avviene mai”.