VERBANIA - 16-08-2024 -- La motivazione della condanna è insufficiente e il processo è da rifare. Per la Cassazione non è chiaro se l’imputato – una marocchino residente a Verbania, oggi 46enne – fosse pienamente consapevole che il connazionale che nascondeva in casa, mentre alla porta bussavano i carabinieri, stesse sfuggendo a una misura restrittiva della libertà personale.
Il fatto risale al 2017. Un amico dell’imputato, che all’epoca dei fatti era oggetto di un procedimento penale al Tribunale di Novara, aveva da poco subito la revoca della libertà vigilata con l’obbligo di soggiorno in una colonia agricola, che non aveva raggiunto. Ai carabinieri era stato affidato il compito di rintracciarlo e la pattuglia s’era recata al domicilio del marocchino, convinta di trovare l’evaso. I militari gli chiesero di entrare e lui, nervoso, inizialmente glielo negò, dicendo che avrebbero dovuto mostrargli un’autorizzazione del magistrato. Alla fine, dopo insistenze, li lasciò entrare e loro, in poco tempo, trovarono il ricercato. S’era nascosto sotto il letto ed era bastato sollevare il materasso per scoprirlo.
Per l’Arma, ma anche per la Procura di Verbania, questo comportamento è favoreggiamento personale, reato per il quale è stato mandato a giudizio al Tribunale di Verbania e condannato in primo grado a due mesi di reclusione in un procedimento con rito abbreviato. Il giudice di primo grado ha derubricato il reato da favoreggiamento personale a procurata inosservanza di misure di sicurezza detentive. La Corte d’Appello di Torino ha poi confermato la sentenza che, ora, a distanza di sette anni dal fatto, ha annullato. Gli Ermellini hanno ritenuto che le circostanze di quell’arresto, così come descritte in sentenza, non dimostrano il dolo, non chiariscono cioè se l’imputato, che pure ha aiutato l’amico, fosse a conoscenza che questi si stava sottraendo a una misura disposta dal tribunale di sorveglianza.