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BONVICINI

Caterina Bonvicini chiude, questa sera alle 21,15 all’hotel Regina Palace, la presentazione delle opere finaliste del Premio Stresa di narrativa. La scrittrice e giornalista bolognese è l’autrice di “Molto molto tanto bene”, di cui proponiamo una recensione.

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Le differenze genetiche portano le persone di Stati e Nazioni diversi a difendere l’identità e il territorio di appartenenza, generando quella suddivisione che distingue chi resta nel luogo di origine, sopportando guerre, carestia e misera e chi migra per cercar fortuna altrove.

Il romanzo di Caterina Bonvicini segue una rotta introspettiva e presenta uno storytelling di come si vive a bordo di una nave Ong. Nelle spedizioni di salvataggio umanitario, nell’anno del Covid, Caterina, la giornalista di bordo della nave Endurance, racconta lo spaesamento che vivono i sopravvissuti nelle acque internazionali del Mediterraneo e lo stato d’animo dei membri dell’equipaggio. Ogni persona di una Organizzazione non governativa può imbattersi in flotte civili, dove i salvataggi ripagano del rischio dei soccorritori nel soccorrere i naufraghi ma anche in flotte incivili, dove la convivenza dei sopravvissuti di etnie differenti non garantisce una traversata pacifica. Gregorio Mezzanotte, non scende mai dal bridge, Minni è una skipper, il Vichingo è l’addetto al boat landing, Annavi il medico di bordo, Ottavia la direttrice della nave e ognuno di loro ha un suo preciso compito e ogni soccorso è un’avventura umanitaria sempre diversa.

Prima di passare alle operazioni di salvataggio, con gli specifici mezzi messi a disposizione in zona Sar, Caterina racconta, nel suo reportage, tutti gli scenari che si susseguono nell’operazione di recupero di Amy, una bambina ivoriana e di sua madre Chantal, una giovane donna di ventitré anni. Il padre di Amy è morto a Tripoli e Bubà il fratello gemello è rimasto in Libia con un’amica di Chantal.

L’intrattenimento dei bambini, durante la traversata dopo il primo soccorso e le visite mediche, richiede molta dedizione ed è così che, su Endurance, Amy e Cate incominciano a giocare insieme, creando un legame speciale. “Il Mediterraneo è pieno di demoni ed eroi”, scrive l’autrice e descrive, con precisione cinematografica, le sensazioni emotive dei sopravvissuti al naufragio del 2020 traghettando anche il lettore in questa traversata; “in una Ong c’è il vento, c’è il motore della nave, c’è il vociare dei naufraghi”. Caterina è una donna di quarantacinque anni, sposata con Riccardo, un uomo di settantatre anni e insieme decidono di ospitare due gemelli e la loro madre superando le complicanze adottive delle UNHCR, in tempo di lockdown, con stratagemmi e l’aiuto di amici nella Croce Rossa. L’accoglienza e l’integrazione nella comunità romana dei tre superstiti ivoriani organizzata da Cate e Ric non ottiene il risultato immaginato. I genitori dei due gemelli sono scappati dalla Costa d’Avorio e appartengono a religioni differenti, Bubà ha vissuto a Zawiya con il padre, prima di ricongiungersi con la madre e la sorella in Italia; tutti sanno pronunciare la parola bambara “barika” che significa grazie anche se, dopo il primo entusiasmo, non sembrano per niente riconoscenti. Chantal si comporta come un’adolescente e i due bambini gemelli, riuniti sotto un unico tetto, sono insofferenti l’uno all’altra; nonostante la caparbietà di Cate, in un solo mese emergono delle resistenze psicologiche, non prevedibili dalla protagonista del romanzo, soprattutto da parte della giovane madre innamorata di Didier, un migrante conosciuto sulla nave e diretto in Germania. La premura di Cate, riposta nel dare la precedenza sul Rhib ad Amy, una bambina su ventisette, per salvarla dal Mediterraneo, non la ripaga del rischio intrapreso perché ogni soccorso può trasformarsi in una tragedia. Chantal non è tanto felice di essere accolta in Italia perché tutti i migranti vogliono andare in Francia e in Germania.

Il confine tra follia e libertà individuale è molto sottile e quando Cate si imbarca nuovamente, per soccorrere i sopravvissuti a Ibiza, sente solo l’odore dei capelli sporchi come “la puzza dei sogni delle paure degli altri”. Sono passati tre anni da quando Chantal e i suoi figli gemelli sono scappati in Germania, spezzando quel legame che pareva indissolubile.

In questa nuova spedizione lei ricorda che Amy voleva fare l’avvocatessa e Bubà il poliziotto ma questa volta è lei che non è più la stessa.

Per Caterina una nave Ong è come una nave da crociera però adesso i soccorsi si presentano ai suoi occhi con tutta la loro cruenta realtà: non si può salvare chi non vuole essere salvato anche perché la salvezza offerta può sembrare anch’essa una prigione.

Monica Pontet

docente, scrittrice pubblicista