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tribunale 16

VERBANIA - 22.03.2025 -- Una difesa accorata, anche oltre le questioni di diritto, con commossi riferimenti al dramma della pandemia e la sottolineatura di come, da eroine che nel 2020 rischiavano la vita opponendosi al buio a un virus sconosciuto come il Covid, ora sono finite alla sbarra come delinquenti comuni. Nel contrastare la richiesta di condanna a 6 mesi avanzata dalla Procura, gli avvocati Carla Zucco e Anna Armandola hanno più volte sottolineato il contesto medico e sociale che tutti abbiamo vissuto nel marzo del 2020, allorquando il coronavirus ha fatto irruzione nella vita di tutti, portandosela via a decine di migliaia di persone. Tra i contagiati vi fu anche un 83enne verbanese che, ricoverato in una Rsa del Verbano, fu visitato, in giorni diversi, da un medico di continuità assistenziale dell’Asl e da una dottoressa del 118 che decisero di non ricoverarlo. Entrò in ospedale solo una settimana dopo e, da lì a due giorni, spirò. Per la Procura quella morte si sarebbe potuta evitare se le dottoresse non avessero agito con negligenza.

Una negligenza fermamente respinta dalle difese -e, prima, dai consulenti di parte che hanno testimoniato in loro favore- che hanno posto l’accento sulle comorbilità del Covid ad altre patologie di cui era affetto l’anziano, la cui causa del decesso, in mancanza di un’autopsia, non può nemmeno essere determinata. “È morto col Covid, non per il Covid” – ha detto l’avvocato Zucco che, da sindaco in un comune del Novarese, ha avuto un ruolo di prima linea nel contrasto alla pandemia e che ha posto l’accento sull’impotenza della medicina, ai primi esordi del virus, nelle cure; e sul sovraffollamento degli ospedali. A monte, ha aggiunto la collega, c’è una norma di legge varata in periodo Covid che, retroattiva, stabilisce come durante la pandemia la responsabilità penale in campo medico si può affermare solo in casi di colpa grave.

La colpa contestata alle due dottoresse è quella di non aver disposto subito il ricovero che, per il consulente medico della Procura, avrebbe potuto salvare il paziente.

I parenti dell’anziano, costituiti parte civile, hanno chiesto 187.500 euro di risarcimento da danno biologico, 240.000 euro a ciascun figlio per il danno da perdita parentale, 145.000 euro per il danno morale.

Il giudice ha rinviato per repliche e per la lettura della sentenza a giugno.