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ROMA - 12-04-2025 -- Quell’incidente ferroviario poteva essere evitato se i responsabili avessero adottato le idonee misure di sicurezza. Respingendo il ricorso dei tre imputati – un dirigente di Rfi, la titolare dell’impresa laziale che aveva in appalto i lavori e un suo dipendente, preposto alla sicurezza – la Corte di Cassazione ha chiuso definitivamente il caso del sinistro accaduto il 24 maggio del 2018 sulla linea del Sempione. In quei giorni oggetto di lavori di ammodernamento della rete era la galleria di Crevoladossola, al cui interno si doveva realizzare una sorta di marciapiede, un camminamento per le ispezioni. Per ricavarlo dalle pareti curve del tunnel era necessario spaccare la volta in cemento e pietra, raccogliere i detriti e portarli al di fuori per lo smaltimento. Le operazioni venivano effettuate con macchinari caricati su vagoni speciali, liberi di muoversi lungo i binari. Per non interrompere il traffico – convogli merci e passeggeri – su un’arteria internazionale, si decise di consentire la circolazione con una sorta di senso unico alternato. Con un binario occupato dagli operai e dai loro mezzi, l’altro sarebbe rimasto libero per il transito, con l’avvertenza che, al momento del passaggio dei convogli, tutti sarebbero dovuti uscire dal tunnel. A questo scopo era stato installato una sorta di avvisatore sonoro che, poco dopo mezzogiorno di quella giornata, fece regolarmente il suo dovere. Il problema fu che sul tratto interessato dai lavori un vagone, quello su cui si trovava il caricatore, deragliò incontrando detriti sui binari. Al passaggio, sul fronte opposto, dell’Eurocity 34 Milano-Ginevra appena partito dallo scalo domese e che viaggiava attorno ai sessanta orari, il treno urtò il caricatore sporgente.

L’incidente fortunatamente non ebbe feriti, ma accese il faro di Spresal e Procura sui sistemi di sicurezza. La Procura di Verbania contestò il reato di incidente ferroviario colposo per il quale, a fine 2020, il Tribunale di Verbania si espresse con tre assoluzioni, poi ribaltata nel 2023 dalla Corte d’Appello. Ora s’è espressa anche la Cassazione, che ha confermato il giudizio di secondo grado, rendendo definitive le tre condanne a sei mesi ciascuno nei confronti degli imputati.