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v consoli

ROMA - 02-05-2025 -- Due anni e mezzo e cinque di interdizione dai pubblici uffici. Con il pronunciamento della Cassazione, che ha ridotto ulteriormente la pena rispetto all’Appello (la cui sentenza che già inferiore al primo grado) è diventata definitiva la condanna di Vincenzo Consoli, deus ex machina di Veneto Banca, il cui crac nel 2017 ha bruciato circa cinque miliardi di risparmi che 75.000 soci avevano investito in azioni, anche nel Vco, dove l’istituto trevigiano era approdato rilevando la Banca popolare di Intra. Direttore generale e amministratore delegato che per 17 anni, sino al suo addio nel 2015, ha deciso le sorti della vecchia popolare di Montebelluna, cresciuta e assurta a gruppo bancario nazionale con ramificazioni estere, è stato condannato per ostacolo alla vigilanza nei confronti della Consob, alla quale ha nascosto, nei piani per l’aumento di capitale, la reale situazione della banca, che era decotta, imbottita di crediti deteriorati e che veniva mantenuta in piedi sopravvalutando il valore delle azioni e sottoscrivendone di nuove con il denaro prestato ai soci nelle operazioni cosiddette “baciate”.

La Cassazione ha dichiarato prescritto l’ostacolo alla vigilanza verso Banca d’Italia nelle ispezioni precedenti il 2015. In Appello era caduto anche il falso in prospetto per gli aumenti di capitale mentre già in primo grado s’era prescritto l’aggiotaggio. Dai quattro anni della sentenza di primo grado, pronunciata a Treviso nel febbraio del 2022 (l’accusa ne aveva chiesti sei) s’è passati ai due e mezzo, con cinque di interdizione dai pubblici uffici. Gli ermellini hanno anche confermato il pronunciamento favorevole della Corte d’Appello di Venezia sulle confische. A Treviso, infatti, i giudici li avevano disposti per 221 milioni di euro.