
BRUXELLES/OSSOLA–9-6-2025 -- Il Consiglio dell’Unione Europea ha ufficialmente adottato il 5 giugno la modifica alla direttiva Habitat che cambia lo status di protezione del lupo (Canis lupus): da “rigorosamente protetto” a semplicemente “protetto”. Un passaggio che, pur richiedendo agli Stati membri di garantire il mantenimento di uno “stato di conservazione soddisfacente” della specie, introduce una maggiore flessibilità nelle strategie di gestione delle popolazioni di lupo sul territorio.
La decisione allinea la normativa europea alla versione aggiornata della Convenzione di Berna, trattato internazionale del 1979 per la salvaguardia della fauna e della flora selvatiche. Il nuovo status entrerà in vigore venti giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE, concludendo un iter avviato nel dicembre 2024 e sostenuto da una crescente pressione politica e sociale, soprattutto dalle aree rurali dell’arco alpino.
Crescita numerica e nuove sfide
Il lupo ha conosciuto una forte espansione negli ultimi anni: secondo dati della Commissione UE, tra il 2012 e il 2023 la popolazione è quasi raddoppiata, passando da 11.000 a oltre 20.000 esemplari. Ma questo successo conservazionistico ha portato con sé nuove tensioni, in particolare legate alla convivenza con la zootecnia. Le stime parlano di oltre 65.000 capi di bestiame uccisi ogni anno dai lupi nei paesi dell’Unione.
In Ossola
Accolta con entusiasmo dall’Associazione Nazionale per la Tutela dell’Ambiente e della Vita Rurali, la notizia del declassamento ha riacceso immediatamente il dibattito, in particolare in aree come l’Ossola. L’associazione – nota per i toni frequentemente accesi e polemici con cui interviene sulla questione – ha definito la decisione “una notizia particolarmente importante per l’Ossola”, dove, secondo il sodalizio, il precedente regime di deroghe avrebbe impedito ogni intervento sul predatore.
Nel mirino dell’associazione anche l’Ispra, l’ente tecnico-scientifico nazionale: viene contestata la stima ufficiale di circa 340 lupi in Piemonte, a fronte di un presunto numero “reale” ben oltre i 1000. La denuncia è dura: secondo l’associazione, il piano attuale permetterebbe interventi di rimozione solo in aree che nel biennio 2021-2022 hanno registrato numerosi attacchi al bestiame – e l’Ossola, in quei dati, risulta praticamente assente.
“Colpa degli allevatori che non hanno denunciato? O c’è anche altro?”, si chiede polemicamente la nota, lasciando intendere un sospetto su una gestione non trasparente dei dati. Un altro bersaglio sono le regole regionali, che secondo il sodalizio rischiano di rimanere immutate anche dopo il declassamento, impedendo interventi efficaci proprio nelle zone oggi più colpite. “Molti piccoli allevamenti hanno chiuso, lasciando abbandonati i pascoli”, si legge nel comunicato.
Tensioni anche sul fronte ambientale e politico
Non manca, infine, un affondo contro alcune associazioni ambientaliste, accusate di ostacolare la rielezione di Vittoria Riboni alla guida dell’Ente delle aree protette dell’Ossola. Il motivo? Le sue “posizioni a favore di allevatori e cittadini”, ritenute troppo sbilanciate in senso rurale. Un’accusa che contribuisce a rendere ancora più teso il clima attorno alla gestione del territorio e dei grandi predatori.
Il cambio di status non autorizza abbattimenti indiscriminati: resta in capo alle regioni la responsabilità di pianificare, giustificare e monitorare ogni intervento. Ma l’Ossola – e altre aree alpine – potrebbero ora avere nuovi margini d’azione. Il nodo vero sarà politico: se e come le istituzioni locali aggiorneranno le regole, e se saranno in grado di trovare un equilibrio tra tutela della biodiversità e salvaguardia dell’economia montana.
