VERBANIA – 15.09.2016 – Non sottrasse i soldi
al fratello e non compì alcuna appropriazione indebita. S’è chiuso con l’assoluzione il processo alla verbanese Claudia Cavagnini, sorella accusata dal fratello Marco di avergli portato via ingenti somme di denaro sfruttando la sua posizione di amministratrice dei suoi beni. Il giudice Raffaella Zappatini è giunta ieri a questa conclusione dopo che la stessa Procura, tramite il pm Chiara Radica, aveva chiesto l’assoluzione dell’imputata.
I fratelli Cavagnini, originari di Pavia, rimasero orfani di entrambi i genitori da bambini e Claudia, più grande, si occupò del fratello minore, almeno sino a quando questi si sposò. Durante il matrimonio la sua gestione economica fu governata insieme alla moglie ma, dopo la separazione e il divorzio, tornò a avvicinarsi alla sorella, che aveva una procura a agire a suo nome, l’accesso ai conti e alla contabilità. L’ingresso nella vita di Marco di una nuova compagna ha deteriorato i rapporti. Il fratello, anche tramite avvocati, ha iniziato a chiedere i rendiconti sospettando che gli fosse stato sottratto del denaro e dopo un certo lasso di tempo ha denunciato la sorella. Nel dibattimento del processo hanno pesato le testimonianze. Quella di Marco, costituito parte civile con l’avvocato Gabriele Pipicelli, è stata ritenuta dal pm colma di discrepanze e contraddizioni; mentre quella della sorella, che in aula ha prodotto documenti, appunti e ricevute, più credibile. L’accusa ha inquadrato la parte civile come una persona con debolezze di carattere e difficoltà a gestirsi manipolata da persone terze. Ricostruzione totalmente respinta dall’avvocato Pipicelli, che prima ancora della sentenza ha annunciato – in caso di assoluzione – la richiesta di impugnazione alla Procura generale di Torino. Il legale ha parlato di un’abile linea difensiva, di un atto di fede della Procura verso l’imputata e ha invitato a guardare ai fatti, alla mancanza di rendicontazioni certe e soprattutto ha sottolineato come il suo cliente abbia dichiarato in aula, sotto l’obbligo di dire la verità, di non aver mai ricevuto tutti i contanti contabilizzati dalla sorella.
Su questo aspetto l’avvocato della difesa, Luca Molino, ha tirato le somme. È vero, ha affermato, mancano le pezze giustificative per 106.000 euro in cinque anni, cioè 364 euro al mese: erano i soldi che venivano dati in contanti dalla sorella al fratello per le spese quotidiane.